Sarà bene sgomberare il cervello – di tutti, compreso il nostro – dalle scorie accumulate in 40 anni di neoliberismo trionfante e di pentimenti progressivi della cosiddetta “sinistra”. Il punto comune tra le due derive è stato infatti l’individualismo, ovvero la teorizzazione thatcheriana per cui “la società non esiste, esistono i singoli” e l’accettazione piena di questo mantra come “fondante i valori progressisti” (basti ricordare il bertinottiano “ognuno dice la sua”).
Nulla come un’emergenza dimostra che si tratta di cazzate sparse a piene mani (il povero Calenda era già stato costretto a fare ammenda sui temi più strettamente economici), in un ambiente in cui, si diceva, nulla deve essere più “progettato” perché il sistema funziona da solo, col “pilota automatico”; e dunque ogni sciocchezza individuale è di fatto irrilevante.
Nulla come un’epidemia – esagerata o no negli effetti pratici – dimostra che è invece indispensabile avere un comando centralizzato e nutrito di informazioni scientifiche incontrovertibili. Che occorre programmazione in base ad obbiettivi, pianificazione degli interventi operativi e degli investimenti, conoscenza scientifica di alto livello e solo quel tanto di improvvisazione utile a garantire la “reattività” a situazioni imprevedibili.
In questi casi, insomma, non è ammesso il fai-da-te, la promulgazione di “delibere” e “protocolli” redatti orecchiando soluzioni improvvisate, diverse da territorio a territorio, tra appelli a chiudersi in casa e minimizzazione “perché altrimenti si ferma l’economia”.
Eppure è quello che è successo in meno di tre giorni un po’ in tutta Italia. Ogni amministrazione Regionale, Provinciale o Comunale è stata attraversata da una frenesia regolamentare priva spesso di qualsiasi consulenza scientifica seria. E accade perciò che le scuole debbano restare chiuse, e siano vietate le gite scolastiche, mentre treni, autobus e navi possono girare tranquillamente.
Accade anche che un capostazione abbia un malore al lavoro, a Casalpusterlengo, e che perciò i treni ad alta velocità diretti o partenti da Milano vengano dirottati a Verona e di lì per il sud. Come se un virus viaggiasse nell’aria, con dei rampini pronti all’arrembaggio e la capacità di entrare nelle carrozze ermeticamente chiuse.
Accade che si chiudano gli uffici pubblici e una Regione – la Lombardia – ordini la chiusura degli esercizi commerciali dalle 18 in poi. Come se un virus dormisse tutto il giorno, ma con la sveglia puntata sull’ora dell’aperitivo.
Accade che ogni negozio, ufficio, capannone, condominio, “decida” di “emanare regole” ad capocchiam sulla base delle informazioni diramate da un sistema mediatico impazzito, dove ogni testata “compete” con le altre solo nell’alzare l’urlo. Sport in cui brillano i giornali della famiglia Angelucci (Libero, Il Tempo, ecc), “re” di quella sanità privata che prende cospicui finanziamenti dalle Regioni e dallo Stato senza fornire, nella lotta al coronavirus, alcun contributo.
Ognun per sé, e ognuno a lamentarsi che non funziona niente. Chissà perché...
Gli amministratori pubblici, o più volgarmente “i politici”, sono ormai piccoli individui senza alcun progetto in testa che non sia quello di essere rieletti, magari in un “ente” di livello – e stipendio – superiore. In balìa dei sondaggi e quindi della “necessità” di “fare qualcosa che colpisca gli elettori”. Indipendentemente dal partito di appartenenza.
Accade perciò che un presidente di Regione – quello delle Marche, Luca Ceriscioli, casualmente del Pd, ma che neanche il suo partito vuole ricandidare alle elezioni di maggio – scavalchi la decisione del governo nazionale (“non prendere iniziative autonome”) e chiuda le scuole anche se su quel territorio non c’era stato neanche un caso di infezione.
C’è anche chi si comincia a spaventare della follia localistica crescente. Il presidente dell’Associazione dei Comuni Italiani (Anci), Antonio Decaro, ha innestato la marcia indietro tutta. «Ho chiesto di affidarci tutti, in modo responsabile, alle decisioni della cabina di regia, istituita presso la presidenza del consiglio dei ministri sterilizzando, limitatamente all’emergenza, i poteri dei sindaci previsti dall’art.50 del Tuel e quelli dei governatori stabiliti dall’art.32 della legge 833 del 1978 o, comunque, utilizzare schemi tipo di ordinanze regionali uguali per le aree territoriali che si trovano nelle stesse condizioni. L’emanazione di provvedimenti da parte di alcuni presidenti di regione e di alcuni sindaci, in controtendenza rispetto a quello che le competenze scientifiche di questo Paese richiedono a noi amministratori, crea solo confusione».
Potremmo andare avanti a lungo. La crisi di un sistema si esprime in centinaia di modi diversi. L’Italia contemporanea si distingue per quelli più ridicoli, pur in presenza di personalità scientifiche di ottimo livello che appaiono come marziani incompresi sul palcoscenico del maratonavirus quotidiano.
Ma la crisi è sistemica, non nazionale. E possiamo certamente sorridere al pensiero che i “focolai” di questa infezione si siano manifestati nelle Regioni (Lombardia e Veneto) gestite per decenni dai leghisti, quelle dove l’”autonomia differenziata” è già prassi amministrativa consolidata, quelle in cui la sanità pubblica è stata più devastata per favorire le cliniche private; ossia in casa degli apprendisti stregoni cresciuti surfando sulle paure, che gridano “prima gli italiani” di fronte a ogni problema che non sanno come affrontare. La Storia sa essere ironica, sempre... e le paure collettive sfuggono sempre di mano a chi si illude di padroneggiarle.
Ma non c’è da ridere. Il collasso potenziale si nota ad ogni passo. Oggi è il coronavirus, domani sarà un altro problema globale e inaffrontabile su base “locale” (nazionale, regionale, provinciale, comunale, condominiale, ecc).
Un esempio? Qualcuno crede davvero che il “libero mercato” – quel sistema dove ogni impresa pensa per sé, competendo con tutte le altre – abbia la benché minima possibilità di affrontare e risolvere davvero il “mutamento climatico e ambientale”? Non diciamo “l’intenzione” (che ovviamente non esiste, fin quando non sarà un’occasione di business), ma proprio la possibilità, ossia l’efficacia.
Problemi collettivi, e a maggior ragione quelli sistemici, richiedono una visione radicalmente opposta, chiamatela, se volete “pianificazione”.
Ma vaglielo a spiegare, in un mondo dove la “concorrenza” spinge ossessivamente verso la prevalenza del cretino.
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