C’era una volta l’Unione Sovietica, al cui crollo i nemici esterni e interni hanno lavorato per decenni, riuscendo a raggiungere il risultato voluto al termine del colpo di reni finale degli anni ’80. E c’erano le sue diverse Costituzioni, approvate via via, a sanzionare le successive trasformazioni sociali: dalla prima, approvata dalla Russia sovietica nel 1918; a quella del 1924, per sistematizzare la formazione dell’URSS nel 1923; a quella del 1936, del “socialismo consolidato”. Infine, quella “brežneviana” del 1977, che istituzionalizzava un passaggio nient’affatto di poco conto e per nulla filologico.
Il primo articolo della prima sezione della Costituzione del 1918, con la dichiarazione dei diritti del popolo lavoratore e sfruttato, stabiliva che la Russia era una “Repubblica dei Soviet dei deputati operai, soldati e contadini”. L’articolo 3 stabiliva quale “obiettivo primario la soppressione di ogni sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, la completa eliminazione della divisione della società in classi, l’implacabile repressione degli sfruttatori”, ecc.
Nel 1936, la nuova Costituzione, “staliniana”, stabiliva che “L’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche è uno Stato socialista degli operai e dei contadini”; fissava poi che i Soviet “dei deputati dei lavoratori” si erano rafforzati in seguito alla “conquista della dittatura del proletariato” e decretava che “Tutto il potere in URSS appartiene ai lavoratori delle città e della campagna”.
Nel 1977, non si diceva più che l’URSS era lo stato degli operai e dei contadini, e nemmeno dei lavoratori, bensì che era “uno Stato socialista di tutto il popolo, che esprime la volontà e gli interessi degli operai, dei contadini e degli intellettuali” e si confermava che “Tutto il potere nell’URSS appartiene al popolo”.
Le cose ovviamente cambiarono dopo la controrivoluzione gorbačëviano-eltsiniana e, con il golpe eltsiniano del 1993, la nuova Costituzione recitava (e recita tuttora) che la Russia è “uno stato democratico federale di diritto” e che, nella più genuina osservanza liberale, “l’individuo, i suoi diritti e le sue libertà costituiscono il valore più alto. Riconoscimento, rispetto e difesa dei diritti e delle libertà dell’uomo e dei cittadini sono dovere dello stato”.
Ora che in Russia siamo di nuovo in tempi di aggiustamenti costituzionali, è naturale che, nella Carta fondamentale, si cerchino di precisare i dettagli dei nuovi rapporti sociali formalizzati nella Costituzione del 1993.
Così, dopo che il patriarca Kirill ha proposto di inserire nella Costituzione il riferimento al padreterno, qualcuno ha deciso di scendere sulla terra, forse anche memore di qualcosa appreso negli anni scolastici tardo-sovietici, quando ancora si sussurrava che una Costituzione non decreta, ma istituzionalizza una situazione, un nuovo rapporto tra le classi nella società.
Così, quel qualcuno, Igor Šuvalov – dopo una proficua carriera ai vertici governativi e presidenziali, è oggi presidente della Banca d’investimento statale “VÄB.RF”, l’ex Vnešäkonombank: Banca per i rapporti economici con l’estero – ha deciso che sia venuto il momento di dire le cose come stanno e scrivere nella Costituzione che l’imprenditorialità è legata alla creazione di valori e i biznesmeny sono la classe d’avanguardia che sta gettando le basi della nuova Russia.
La necessità di tale correttivo costituzionale, secondo Šuvalov, risiede nel fatto che non esiste attualmente una precisa definizione di imprenditorialità nella legislazione civile e societaria russa, e ciò crea problemi nei tribunali con “le norme sostanziali del diritto”.
Gli imprenditori sono una “classe avanzata, che crea la nuova Russia”, ha detto Šuvalov, e “l’imprenditorialità è l’attività di una determinata cerchia di persone, impegnate nella creazione di nuovo valore, mentre la produzione di beni o il settore dei servizi sono derivati da ciò che viene creato nella società”. Bisogna stabilire costituzionalmente che “gli imprenditori sono persone che creano nuovi valori” e che i “tratti distintivi dell’imprenditoria sono il profitto e il suo essere a fondamento del sistema”, ha detto.
A parte gli investimenti in USA e i lucrosi affari da ditte offshore alle Bahamas, il tutto rigorosamente intestato alla moglie, ROTFront ricorda come, appena tre anni fa, Šuvalov irridesse pubblicamente le persone costrette a vivere in appartamenti di 20 mq e si stupiva che se ne volessero andare da quei tuguri, lui che vive in 700 mq, mentre la moglie porta i cani di famiglia, sull’areo di famiglia, in giro per il mondo a “difendere il prestigio della Russia”, alle mostre canine internazionali.
Che c’è di buono nelle parole di Šuvalov, scrive ancora ROTFront, è che sono uno schiaffo ben assestato a chi predica una presunta assenza di classi e propaganda “riconciliazione e armonia” nella società. Šuvalov ha anche ragione quando dice che l’imprenditorialità riguarda la creazione di valori; ma, in che modo la riguarda? Il biznes è un parassita che succhia il lavoro umano, divora i valori creati dalla società e disorganizza la produzione sociale.
Ma questo non è il caso di scriverlo nella Costituzione!
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