di Alessandro Peregalli
[Mar è mediattivista del giornale multimediale indipendente chiamato Chaski Clandestina,
con cui ha documentato importanti lotte avvenute in Bolivia negli
ultimi anni, da quelle portate avanti dal sindacato CSUTCB
(Confederazione Sindacale Unica di Lavoratori Contadini della Bolivia,
NdR) nell’altopiano paceño ai tempi della Guerra del Gas (2003) a
quelle, più recenti, in difesa dei territori contro le grandi opere
estrattive promosse dal governo di Evo Morales. Fa anche parte di un
collettivo femminista chiamato Desarmar la Guerra. Qui l’intervista con
l’autore.]
Qual è stata la vostra postura durante i governi di Evo Morales e nella recente crisi politica che ha colpito la Bolivia?
Noi siamo molto critici con il governo di Evo fin dal 2011-12, quando
è stata più evidente la politica estrattivista del governo (grandi
opere, idroelettriche, trivellazioni), con forti ripercussioni nei
territori indigeni. Però durante la crisi di fine 2019 all’interno dei medios libres
sono sorte divisioni: molti compagni hanno assunto una posizione di
difesa del governo di Evo, rivendicando le conquiste dei primi anni,
altri hanno preso una postura così ferocemente avversa al governo che
hanno di fatto avallato le posizioni razziste prevalenti
nell’opposizione e sono arrivati a difendere l’operato di paramilitari motoqueros e della polizia. Con Desarmar la Guerra
abbiamo provato a mantenere una posizione intermedia, che uscisse dalla
polarizzazione, che non fosse né un’adesione intransigente al governo
di Evo né una difesa di quello di Jeanine Añez.
Quando è degenerato il proceso de cambio?
La proposta politica del MAS, in realtà, è sempre stata un po’
polemica. Per esempio, durante la Guerra del Gas del 2003 il MAS aveva
una posizione opportunista, non particolarmente attiva in una lotta dove
invece hanno avuto un ruolo centrale le comunità aymara e il sindacato
CSUTCB. Dopodiché, non si può negare l’importanza del MAS per le lotte
del movimento cocalero del Chapare, nella zona di Cochabamba.
Bisogna anche sfatare il mito per cui il MAS sarebbe un movimento
indigeno: il Chapare non è un territorio indigeno, ma una terra di
coloni immigrati nel tempo da altre zone della Bolivia; solo in un
secondo momento, quando si è affermato come forza politica nazionale, il
MAS ha cominciato ad adottare un discorso indigeno. Ciò non nega che la
vittoria del MAS nel 2005 sia stata un fatto importantissimo, che ha
permesso di rompere una lunga storia di razzismo e di costruzione
coloniale dello Stato.
In un primo periodo il proceso de cambio è andato avanti in
maniera eterogenea, con molto appoggio popolare, tanto che quando ci fu
il primo grande conflitto con l’élite di Santa Cruz, tra il 2006 e il
2008, molta gente era disposta ad arrivare alla guerra civile pur di
difendere lo Stato Plurinazionale. E in quell’occasione Evo tenne duro.
Ciò nonostante, già allora erano emerse le prime crepe: a dispetto della
presunta nazionalizzazione degli idrocarburi, che poi era una semplice
rinegoziazione dei contratti, il governo concesse alcuni territori
indigeni alla Shell mentre derogò parti della Ley de Tierras a favore dei latifondisti cruceñi.
Ma la rottura storica è stata nel 2011, quando abbiamo visto le
immagini della polizia che reprimeva una manifestazione pacifica di
indigeni del TIPNIS che lottavano contro la costruzione di una strada
sul loro territorio. Lì ci siamo resi conto che il governo aveva chiuso i
margini del dialogo. Anche dopo che la pressione popolare lo aveva
costretto a derogare il progetto, ha reiteratamente cercato di
riattivarlo, cercando di corrompere alcuni settori indigeni e occupando
con la forza le sedi delle organizzazioni CIDOB (Confederazione dei
Popoli Indigeni dell’Oriente Boliviano, NdR) e CONAMAQ (Consiglio Nazionale di Ayllus e Markas di Qullasuyu, NdR).
E le stesse pratiche le ha messe in atto più tardi per l’idroelettrica
di Rositas e quella di Chepete Bala e in altre occasioni. Il processo
quindi si è degradato poco a poco col tempo. Un aspetto importante di
questa degradazione è stato l’egolatria di Evo, il culto alla
personalità, però il vero problema è stato il modello economico.
Tutte queste cose hanno portato gran parte della base a distanziarsi
dal processo, e questo è stato evidente lo scorso novembre quando il MAS
ha convocato con una grande mobilitazione a La Paz in difesa del
governo, ma non è accorso nessuno.
Quali sono state le maggiori conquiste del governo del MAS?
Il fatto stesso che una persona di origini indigene diventasse
presidente e che l’apparato dello Stato venisse occupato da gente morena,
proveniente dalle organizzazioni popolari, è stato un vero e proprio
terremoto politico. Un altro enorme successo è stata la costituzione
dello Stato Plurinazionale, il culmine di una lotta centenaria che
stabilisce principi avanzatissimi come l’autonomia e la giustizia
indigene. Purtroppo però insieme a queste cose ce ne sono state altre
che le depotenziavano: per esempio, il MAS ha approvato una legge che ha
messo in deroga aspetti della giustizia indigena, ha limitato di fatto
le autonomie per dare più accesso alla terra all’agribusiness, ha limitato il diritto alla consulta indigena per far avanzare le grandi opere.
Il 20 ottobre scorso ci sono stati brogli elettorali?
Sinceramente credo di sì. Inizialmente la cosa che per tutti era
sospetta è stata la scelta di sospendere il conteggio rapido del voto
per 20 ore, mentre gli exit poll dicevano chiaramente che si sarebbe andati al ballottaggio. Poi sono stati pubblicati vari report, alcun che parlavano di fraude,
altri che lo negavano. Tra i primi, il meno attendibile è stato proprio
quello dell’OSA (Organizzazione di Stati Americani, la cui presa di posizione il 10 novembre a favore di nuove elezioni ha causato la caduta di Evo, NdR), perché era evidente che rispondesse a logiche politiche. Però il report più convincente è stato quello fatto dall’ingegner Villegas,
che aveva trovato 12 prove di brogli (atti che non coincidevano con il
conteggio, atti trovati in case private, firme fatte dalle stesse
persone...) a cui il governo non ha saputo rispondere.
Com’era composto il movimento che denunciava il fraude?
All’inizio era gente di classe medio-alta, abitanti dei quartieri
agiati, studenti delle università private. Dopo qualche giorno hanno
iniziato ad aggiungersi gente proveniente da quartieri più popolari. Gli
slogan erano razzisti e sessisti, e in generale io, che come
giornalista “coprivo” le manifestazioni, mi sono sentita così poco a mio
agio che non ho pubblicato nulla, per non essere megafono di una
protesta del genere. Ma nella seconda settimana c’è stato un fatto
nuovo: è scesa in piazza la FEJUVE (Federación de Juntas Vecinales de El Alto, NdR) Contestataria,
ossia la parte dissidente e antimasista di un’organizzazione storica
che aveva lottato nella Guerra del Gas. Gridavano contro il “tradimento”
di Evo.
Come si è sviluppata la dinamica che ha portato alla caduta di Morales?
C’è stata un’escalation della violenza che ha attraversato
tutta la società boliviana e ha imposto il paradigma della guerra
civile. Qui nella zona di La Paz ed El Alto ci sono stati molti
saccheggi di negozi da parte di gente del MAS. Erano contadini e
minatori affluiti a La Paz dalle campagne per contrastare i blocchi,
quando Evo era ancora presidente; certamente molti di loro erano in
buona fede e lo facevano per difendere il loro governo, ma sta di fatto
che vedere minatori e contadini lanciare dinamite contro gli studenti è
stato molto forte, una rottura storica. Una volta dimessosi Evo, queste
persone, armate dal partito, hanno iniziato a saccheggiare e a
diffondere il terrore, portando molta gente dei quartieri a organizzarsi
per contrastarli. La cosa assurda della situazione è che a El Alto dopo
la caduta di Evo la gente non sapeva se mobilitarsi per contrastare il golpe della Añez, cosa che molti hanno fatto e che è terminata con il massacro di Senkata, o per contrastare i saccheggi realizzati dalle bande masiste.
In altre città la dinamica è stata diversa: Cochabamba è stato il
contesto più violento, con forte presenza di un gruppo paramilitare di
gente in moto, chiamato Resistencia Juvenil Cochala, che ha
letteralmente seminato il terrore, operando in collusione con la
polizia. E anche a Santa Cruz era presente un gruppo fascista legato a
Camacho, la Unión Juvenil Cruceñista.
La violenza ha avuto quindi diverse fasi: prima la violenza razzista
dell’opposizione, culminata con l’ammutinamento della polizia; poi tre
giorni di saccheggi da parte del MAS; poi i massacri da parte
dell’esercito.
Il governo Añez è realmente un “governo di transizione” oppure c’è stato un colpo di Stato?
Il dibattito del se si è trattato o meno di golpe è problematico, perché per come è posto parlare di golpe significa
negare i crimini e le responsabilità del governo di Evo. Però
senz’altro non si può definire il governo attuale come “di transizione”:
sta portando avanti decisioni politiche di enorme importanza. Diciamo
quindi che da un punto di vista tecnico possiamo parlare di golpe,
anche se l’esercito che l’ha promosso è stato anch’esso, potremmo dire,
una creazione del MAS. Oltretutto, in molti casi, come in politica
ambientale, le decisioni di Añez sono in continuità con il governo di
Evo: pensiamo ai progetti estrattivi o alle norme pro-agribusiness che autorizzano i disboscamenti nella regione amazzonica.
Cosa pensi della situazione degli ex ministri del MAS,
accusati di sedizione e terrorismo, rifugiatisi nell’ambasciata
messicana e a cui il governo di Añez sta negando il salvacondotto?
Noi eravamo contro il discorso “antiterrorista” quando lo usava
Morales e lo siamo anche ora. È una vergogna che gli venga negato il
salvacondotto, però non possiamo nemmeno negare che questi ministri
quando erano al potere organizzavano le peggiori persecuzioni politiche:
ai giornalisti, alle organizzazioni indigene...
Che scenario vedi per la Bolivia nel breve e nel lungo periodo?
Per ora lo scenario è elettorale ed è difficile per tutti,
soprattutto per il MAS, perché deve ricostruirsi e senza la figura di
Evo sono venute alla luce profonde divisioni interne che prima erano
latenti. Anche se il MAS, come probabile, non vincerà, manterrà comunque
una forza molto grande. C’è purtroppo la possibilità che vinca Camacho,
e questo creerebbe una polarizzazione sociale enorme, perché si tratta
di un fascista che oltretutto rappresenta i latifondisti e i settori
religiosi più reazionari. La vera sfida sarà però uscire dagli schemi
partitici e organizzare una lotta di resistenza più lunga, perché
sappiamo che chiunque vada a governare, l’estrattivismo, lo
spossessamento delle terre e i massacri contro le donne continueranno.
Fonte
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