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08/04/2023

“Il salario troppo basso è incostituzionale”

A tirare troppo la corda, inevitabilmente, si spezza. La questione dei salari troppo bassi – sperimentata da tutti ogni giorno, certificata dall’Istat, studiata ormai a livello scientifico in sede europea, ecc. – arriva ora al pettine dei tribunali.

Dove – senza alcuna glorificazione di un potere dello Stato per molti versi reazionario – ogni giudice si trova a doversi muovere tra realtà dei contratti in essere (quando pure vengono rispettati), legislazione vigente e Costituzione.

E alla fine è successo: a Milano, un giudice ha dovuto ammettere che uno stipendio – contrattuale! – di 3,96 euro l’ora è anti-costituzionale, perché all’articolo 36 della Carta si legge che “il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa“.

Il caso concreto era relativo alla causa intentata da una lavoratrice assunta in una società di vigilanza privata (la Civis) che con quella paga oraria arriva a percepire “addirittura” 640 euro netti al mese. Basta guardare i dati dell’Istat, certo non generosi verso i lavoratori, per sapere che la soglia di povertà è situata a 840 euro al mese. E sono certamente pochi.

Al giudice insomma non è rimasto che riconoscere la differenza tra le due soglie e stabilire un risarcimento corrispondente per l’intero periodo di lavoro fin qui svolto: 6.700 euro. Pochi anche questi, non sappiamo se rivalutati al “tasso legale” annualmente stabilito, ma comunque un primo riconoscimento dell’assoluta illegalità in cui si muovono da decenni le aziende.

Con la complicità di sindacati – CgilCislUil, ovviamente, non altri – che firmano contratti simili.

Non è irrilevante ricordare che la lavoratrice in questione non era sola, ma assistita da uno dei tanti sindacati di base che, nel bene e nel male, sicuramente in misura ancora insufficiente, rappresentano un’alternativa alla “triplice” dei complici.

In questo caso si tratta dell’AdlCobas, presente soprattutto nel Veneto, regione di residenza della lavoratrice, che però lavorava addirittura a Milano, impiegata nel servizio di portierato in un magazzino della grande distribuzione.

La sentenza è rilevante perché costituisce un precedente che aiuterà ad aprire migliaia di vertenze assolutamente similari a questa, stimolando una conflittualità sociale – se non altro a livello giudiziario – che davvero è “in sonno” da troppo tempo.

La campagna per un salario minimo di almeno 10 euro l’ora può e deve riprendere slancio perché è la realtà sociale a mettere ormai in discussione gli equilibri regressivi costruiti negli ultimi 30 anni.

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