Non c’è solo Volkswagen, il cui capo Thomas Schaefer ha dichiarato che l’azienda non sta “guadagnando abbastanza con le nostre macchine. Allo stesso tempo, i nostri costi per l’energia, i materiali e il personale continuano a crescere. Questo calcolo non può funzionare a lungo termine. Dobbiamo quindi andare alla radice del problema: non siamo abbastanza produttivi nei nostri siti tedeschi”.
Un’ondata di licenziamenti si sta abbattendo sulle lavoratrici e i lavoratori in Europa, anche nei due stati con le principali economie come Germania e Francia. E il bollettino di guerra si va facendo sempre più pesante anche per l’Italia, la cui struttura industriale è cresciuta soprattutto come subfornitura delle imprese tedesche.
In Francia la Michelin ha annunciato per il prossimo 11 novembre la chiusura dei suoi stabilimenti di Cholet e Vannes, portando come motivazione il “crollo delle vendite di pneumatici per autocarri e furgoni”. La direzione del produttore francese di pneumatici ha annunciato la chiusura ai 1.254 dipendenti di queste due fabbriche nell’ovest della Francia, nel quadro di un piano di riorganizzazione per rispondere alla scarsa domanda in Europa e all’agguerrita concorrenza dei produttori asiatici a basso costo.
Anche altri grandi gruppi della componentistica automobilistica in Europa annunciano momenti difficili per i lavoratori.
Il gruppo tedesco Schaeffler ha annunciato migliaia di licenziamenti in Europa, dopo una flessione di quasi la metà dell’utile operativo nel terzo trimestre, imputabile alla debolezza del settore industriale e alla diminuzione della domanda di auto elettriche. Schaeffler prevede di tagliare circa 4.700 posti di lavoro in Europa, di cui 2.800 in Germania, con una riduzione netta di 3.700 posti dopo alcune delocalizzazioni.
La produttrice di pneumatici tedesca Continental ha annunciato un pesante piano di tagli del personale nelle sue fabbriche per recuperare 400 milioni di euro l’anno.
In Germania la Volkswagen intende chiudere tre fabbriche e ridimensionare tutti gli altri impianti. Particolarmente a rischio sarebbe lo stabilimento di Osnabrueck. Volkswagen impiega circa 120.000 lavoratori in Germania, di cui circa la metà a Wolfsburg e gestisce un totale di dieci stabilimenti, di cui sei in Bassa Sassonia, tre in Sassonia e uno in Assia.
Non solo. La direzione della Volkswagen ha recentemente presentato al consiglio di amministrazione e ai sindacati un piano che prevede una riduzione del 10% delle retribuzioni in tutti i settori, nonché il congelamento dei salari nel 2025 e nel 2026, il sindacato stima che i lavoratori subiranno tagli salariali di circa il 18% nel periodo considerato.
Ma i licenziamenti non riguardano solo il settore dell’automotive. ll colosso francese della grande distribuzione Auchan, ha annunciato tagli di posti di lavoro in Francia, presentando ai rappresentanti sindacali un piano di 2.389 licenziamenti attraverso la chiusura di una decina di negozi. Auchan prevede di tagliare 784 posti all’interno della sede centrale e 915 posti nei negozi e intende chiudere tre ipermercati a Clermont-Ferrand Nord (Puy-de-Dome), Woippy (Mosella) e Bar-le-Duc (Meuse), e in un supermercato, ad Aurillac.
E poi c’è l’Italia dove pesa come un macigno l’incognita di Stellantis, la ex Fiat/Fca. Stellantis è presente con stabilimenti storici come Melfi, Cassino, Mirafiori, Atessa e Termoli, che impiegano migliaia di lavoratori. Questi impianti stanno affrontando da tempo una fase critica, caratterizzata da riduzioni della produzione e cassa integrazione con l’azienda che torna a battere cassa allo Stato.
I piani dell’amministratore delegato Tavares indicano che alcuni di questi stabilimenti potrebbero ridurre il personale o, nel peggiore dei casi, chiudere del tutto. Inoltre c’è da considerare l’impatto sull’indotto automobilistico italiano, costituito da centinaia di fornitori di componenti e servizi che dipendono da Stellantis. Si stima che l’indotto automobilistico in Italia dia lavoro a circa 160.000 persone, e un ridimensionamento delle attività produttive di Stellantis potrebbe scatenare un effetto domino su queste aziende.
È un inverno “rigido” quello che i padroni europei stanno annunciando ai lavoratori.
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