1. Di chi è la colpa?
Attribuire il recente disastro meteorologico in Spagna (o quello in Emilia) solo ai cambiamenti climatici è una ipotesi approssimativa. Non tiene conto di una regola semplice-semplice, che non serve essere molto “studiati” per capire: disastri naturali singoli del genere sono avvenuti anche in passato, magari anche peggiori, come gravità.
Quindi?
È invece vero che il rischio dovuto a questi eventi è aumentato a causa dei cambiamenti climatici. Il rischio è grossomodo il prodotto di due quantità: la frequenza con la quale accadono i disastri, e la loro gravità (i danni).
R = F * D
F si misura in disastri all’anno.
D si misura p.es. in morti per ogni disastro (o M€)
Moltiplicando, il Rischio allora sono morti all’anno. È la definizione tecnologica del Rischio, che dalla metà degli anni '60 ci permette di valutarlo.
Come gestire il rischio, in caso di eventi “naturali”?
La mitigazione: riduce le conseguenze dell’evento, quando esso capita. Abbassa quindi D. Qui possiamo intervenire localmente. Sia chiaro che la mitigazione efficace si fa prima – preparandosi ai disastri – e non “dopo”, soluzione preferita dai governanti, che “portano la solidarietà delle istituzioni alle vittime” e “studieranno soluzioni per porre rimedio”: rispetto al pensarci prima, questo porta molte più apparizioni sui media. Tanto, la “colpa” è sempre di quelli che c’erano prima.
La prevenzione: riduce la frequenza di questi disastri. Come? Mentre nel caso della sicurezza industriale occorre “rendere più robusto” il sistema, riducendo i guasti e anche progettandoli meglio, per i disastri “naturali” la ricetta è più semplice: occorre smettere di rovinare il clima terrestre, come stiamo continuando a fare. Se non la piantiamo e invertiamo la tendenza, la frequenza di questi disastri gravi aumenterà. La prevenzione quindi si fa a livello globale.
Tutto chiaro, no?
Bene. Questo comporta azioni concrete da parte dei governi, sia a livello locale che a livello globale. Azioni concrete, che hanno costi, sono delle vere scocciature per i governi (“democratici” e non), che odiano investire su azioni che hanno benefici DOPO che loro non saranno più in carica.
Perché una cosa è chiara: a costoro, ai nostri governanti, del clima, dei disastri, dei morti, dei danni, importa fino a un certo punto: i loro scrupoli morali, il loro reale interesse per il bene comune, sono generalmente delle verniciature assai sottili. A costoro, interessano in realtà due cose: accumulare denaro per sé e i propri clientes, ed avere una buona nomea in modo da essere rieletti, loro stessi o i loro tirapiedi, o alla peggio i loro compagni di partito.
Per gente che intende la politica e l’amministrare la cosa pubblica come una fonte di potere e privilegio cui accedere con ogni mezzo e mantenere ad ogni costo, apparecchiando mezze verità e menzogne che appaiano buone azioni, ma che debbono durare dieci anni al massimo, il clima non era un problema: protocollo di Kyoto, solenni impegni, entro il 2030-anzi2050-no2100, minimo sforzo e dar fastidio il meno possibile.
Però ora i disastri gravi sono già arrivati e potrebbero essere nocivi (per le prossime elezioni, che avevate capito?). Gli scienziati di regime – davanti a questi nuovi fatti – sono diventati parzialmente inadatti.
Da un lato, per l’attuale classe politica occorre trovare scuse più credibili per sprecare gran parte del plusvalore umano in armi e guerre. Impedire il più possibile che si formi un’opinione pubblica realmente informata, che rigetti mentalità nazionaliste e belliciste buone per il secolo scorso. Insomma, rallentare il più possibile il cambiamento: ovviamente, questo non è legato al progresso tecnico, ma all’uso sociale che del progresso scientifico viene fatto.
Questo compito è lasciato alla propaganda politica, cioè ai media, ai giornalisti, opinion maker, spin doctor. Un reale progresso, inteso come diffusione del sapere, conoscenza della situazione, comporterebbe mutamenti, pericolosi perché aumenterebbero le possibilità che i gruppi ristretti di personaggi oggi al potere – spesso inutili o dannosi – venissero sbalzati dall’amata sella. Sbalzati dalla cosiddetta “Storia”: prima che finisse venduta per la pubblicità dell’Enel, una canzone diceva più o meno “La storia siamo noi. Perché è la gente che fa la Storia, e la Storia mette i brividi, perché nessuno la può fermare”.
Bene: alla lunga è probabilmente vero, ma proprio la fine indegna che hanno fatto quelle frasi ci fa capire come la Storia non si può fermare, ma si può rallentare e intralciare. Incanalare verso percorsi in parte innocui e inutili. La stessa parola “Progresso” è stata utilizzata in maniere talmente distorte ed ipocrite, che – oggi – ha perso in gran parte la sua accezione reale e positiva: va usata virgolettandola.
La ricetta è quindi incanalare in parte la forza irrefrenabile che è la propensione umana alla conoscenza in piccoli rigagnoli inoffensivi.
Qui interviene in aiuto, trovando terreno ben preparato, l’ignoranza e l’incultura globale, diffusa da personaggi che – rasoio di Occam alla mano – non possono che essere al servizio dei potenti stessi, avendo obiettivi convergenti.
Tornando al problema dei disastri ambientali, prima ci sono stati i negazionisti del cambiamento climatico. Ci sono ancora, ma sono sempre meno ed antipatici, hanno perso credibilità col passare del tempo e dinanzi all’evidenza dei fatti.
Più utili sono i nìgazionisti: riconoscono il problema, ma asseriscono che va risolto con approccio riformista. Il discorso è lungo, ma crediamo sia chiaro, quando la soluzione del problema dei cambiamenti climatici viene affidata agli stessi che di questi cambiamenti sono i principali responsabili storici, e che grazie ai loro comportamenti basano il loro attuale benessere e privilegio. Qualcuno potrebbe restare perplesso, davanti alla strategia di chiedere all’oste se il vino è buono.
Allora, mandiamo avanti i complottisti. Quelli religiosi (Zeus ci manda il diluvio universale per punirci dei nostri peccati, in particolare la masturbazione) non funzionano più neppure quelli. L’umanità è ancora ignorante, ma non più così tanto da credere davvero alle religioni.
Meglio allora i complottisti 2.0: i potenti stanno facendo qualcosa di realmente criminale ed inescusabile, ma “non celo dicono“. Non stanno quindi agendo alla luce del sole per fregarci, no: lo fanno “in segreto“. Ed è questo segreto che va svelato, altro che perder tempo in mitigazione e prevenzione. Noi – “sacerdoti della verità vera” – indichiamo al popolo su cosa preoccuparsi e lottare. Tutto sarà così risolto.
Con ipotesi talmente assurde che, pur essendo credute da moltitudini di poveretti, risultano smontabili con una risata da parte di qualunque scienziatucolo al servizio dei potenti, per i quali questi sacerdoti alla Red Ronnie sono dei nemici molto più comodi di scienziati e climatologi seri e non servi del potere. Così comodi – questi nemici – da essere talvolta (come si scopre prima o poi) a libro paga delle agenzie che svolgono per i governi i lavoretti più sporchi.
Di chi parliamo, nel caso dei disastri ambientali? Ma dei Fafioché.
In dialetto piemontese, si definivano così i fanfaroni che promettevano ai contadini di far piovere. Dietro compenso, ovviamente.
Oggi, fafiochè si traduce con Cloud Seeding.
(L’articolo prosegue con cambio d’autore, uno scienziato molto più serio ed educato di me, Leonardo Nicolì che condivido al 100% e ringrazio scusandomi)
2. Maltempo, clima e cloud seeding (di Leonardo Nicolì)
Quando avvengono tragedie come quelle dell’Emilia o di Valencia, spesso la colpa viene attribuita ai tombini intasati o ai fiumi trascurati. Ma questo è solo un lato del problema. Siamo di fronte a eventi meteorologici estremi, più intensi e frequenti rispetto al passato, che sono una delle conseguenze tangibili del cambiamento climatico.
Non si tratta solo di “maltempo”. I cambiamenti climatici alterano gli equilibri naturali, aumentando l’intensità delle precipitazioni, prolungando periodi di siccità e rendendo sempre più difficile prevedere i fenomeni atmosferici.
C’è chi punta il dito sul “cloud seeding”, o inseminazione delle nuvole, pensando che possa essere una delle cause di questi eventi.
È importante fare chiarezza.
Il cloud seeding, quando applicato, ha un impatto molto limitato e locale, utilizzato solo in circostanze particolari per aumentare la probabilità di pioggia in zone precise e in piccole quantità.
I grandi eventi meteorologici e i disastri naturali che viviamo sono, invece, strettamente collegati al cambiamento climatico globale, causato dall’innalzamento delle temperature e dall’inquinamento atmosferico. Pensare che il cloud seeding sia responsabile di inondazioni o disastri è fuorviante.
Affrontare il cambiamento climatico significa non solo migliorare la manutenzione, ma anche ridurre le emissioni, rispettare l’ambiente e adottare strategie per proteggere le nostre comunità. Il clima cambia, e dobbiamo cambiare anche noi per non dover piangere più tragedie evitabili.
3. Conclusioni ed un parallelo amaro
Puntare il dito sul cloud seeding per attribuirgli i disastri ambientali ha la stessa fondatezza scientifica di attribuire le aurore boreali al riflesso del sole sulla pancia delle aringhe. Punto.
Ma non si tratta di fanfaroni tutto sommato innocui. Dal punto di vista morale, un simile atteggiamento merita disprezzo, perché è un metodo di distrazione di massa messo in atto proditoriamente (avrete capito dal tono che quest’ultimo capitolo è di nuovo mio): fa venire in mente la giusta opposizione alla sovraesposizione ai campi elettromagnetici dovuta all’esplosione del wireless e del 5G.
Un normale allarme, di fronte ad un Wild West di crescita incontrollata dell’esposizione, che fino a qualche anno fa sembrava – portando avanti obiezioni scientifiche serie basate sul principio di precauzione e sul progredire di evidenze e studi sulla pericolosità – poter ottenere che anche a questo fattore di rischio fosse posto un limite ragionevole, come è accaduto in passato a molti agenti inquinanti e/o genotossici. Cito questo esempio perché è uno dei miei argomenti di ricerca e insegnamento: la protezione dalle radiazioni, ionizzanti o non.
Sappiamo purtroppo come è andata a finire: tre anni fa sono arrivati quelli che ci hanno detto che nei vaccini erano contenute delle “nanoparticelle” che grazie ai campi magnetici del 5G ci avrebbero controllato come automi, ponendo anche delle “date di scadenza” di attivazione di questa immensa manovra che avrebbe comportato lo sterminio dell’umanità.
Certo, riviste adesso a distanza di soli pochissimi anni, queste solenni castronerie destano più che altro ilarità: ma hanno avuto come conseguenza il totale discredito scientifico e la giustificata – in parte – svalutazione a pseudoscienza di tutta la ricerca scientifica sull’argomento “5G” e per estensione sul rischio per la salute dell’esposizione prolungata ai campi elettromagnetici: una vera manna, alla fine della fiera, per chi è andato negli ultimi anni – facendo affari miliardari – verso l’elettromagnetizzazione selvaggia e indiscriminata dell’umanità.
Il “No 5G” è diventato argomento da byoblu. Missione compiuta.
di Massimo Zucchetti, professore ordinario dal 2000 presso il Politecnico di Torino, Dipartimento di Energia. Attualmente è docente di Radiation Protection, Tecnologie Nucleari, Storia dell’energia, Centrali nucleari. E’ entrato nella “cinquina” finale dei candidati al premio Nobel per la fisica nel 2015.
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