Il primo mandato alla guida della Commissione Europea era cominciato con le promesse di Ursula von der Leyen di rende la UE un attore importante nella competizione globale, implementando una maggiore autonomia e un ruolo geostrategico che in precedenza aveva avuto solo parzialmente.
Il secondo mandato continua sulla stessa strada, accentuando persino la corsa al riarmo e il bellicismo di un’istituzione creata proprio con lo scopo di dare una cornice politica all’imperialismo della borghesia continentale. In questo quadro, Bruxelles vuole fare passi avanti anche sul lato dei servizi segreti.
Mercoledì 30 ottobre è stato pubblicato il rapporto “Safer Together. Strengthening Europe’s Civilian and Military Preparedness and Readiness“, la cui redazione era stata affidata lo scorso marzo a Sauli Niinistö, ex presidente della Finlandia, nominato Consigliere Speciale della Commissione per questo compito specifico.
Si tratta di un lungo documento di 164 pagine, il cui titolo già rende chiaro come i popoli del Vecchio Continente devono cominciare a pensare che la dimensione civile e quella militare si compenetreranno nell’evidente piano inclinato verso la guerra, alimentata continuamente dall’Occidente.
Niinistö ha ad esempio sottolineato come l’UE manchi di un milione di esperti in sicurezza informatica e ha dunque sostenuto la possibilità che i vari paesi introducano programmi che coinvolgano i civili nella difesa nazionale. Una chiara volontà di militarizzare la vita di tutti i giorni.
Tra i tanti punti toccati, sicuramente interessante è quello riguardante i servizi di intelligence dei vari membri della UE, i quali dovrebbero costituire una struttura centralizzata, secondo gli estensori del rapporto. Una sorta di CIA europea, insomma, come è stata definita alla presentazione.
Per Niinistö una violazione della sicurezza di uno dei paesi dell’Unione dove essere percepita come una minaccia alla sicurezza di tutti gli altri. “Condividiamo un’unica sicurezza“, ha affermato, sottolineando come questa agenzia dovrebbe occuparsi anche della protezione dal rischio di spionaggio, sabotaggio, terrorismo e dalla criminalità organizzata.
Uno degli elementi che è stato enfatizzato, infatti, è stato quello del ‘fronte interno‘, piuttosto che quello esterno. In sostanza, la prima preoccupazione sembra essere quella delle operazioni che possono essere compiute in UE da parte di paesi stranieri per destabilizzarla dall’interno, e il riferimento alla Russia è esplicito.
Bisognerebbe chiedersi se ciò andrebbe a riguardare anche, ad esempio, attentati come quello al Nord Stream. Ma al di là di questa domanda – piuttosto retorica, probabilmente – vi sono due punti che vanno certamente messi sotto i riflettori dell’analisi di un tale documento.
Il primo riguarda l’attenzione dedicata a ciò che si muove all’interno della UE. Operazioni di spionaggio vengono compiute abitualmente anche tra alleati, ma dalle dichiarazioni la sensazione è che ciò che interessa più di tutto è tenere sott’occhio la perdita di legittimità tra le popolazioni, costrette a subire gli effetti di questa precipitazione bellica.
Conosciamo da tempo l’utilizzo strumentale delle accuse di terrorismo e l’inflazionamento di un clima di paura e di emergenza per imporre una sempre maggiore restrizione dei diritti di espressione del dissenso, di manifestazione, di pratica del conflitto sociale, vera cartina tornasole dello stato di salute di una democrazia.
In Italia l’esempio è il DdL 1660, ultima di una lunga serie di misure introdotte in maniera bipartisan negli ultimi anni. Ma il provvedimento va letto dentro un quadro di trasformazione dei sistemi politici continentali in ‘democrature‘, che va a braccetto con il più ampio processo del salto imperialistico della borghesia continentale, attraverso la cornice dei trattati europei.
Ora che ci si avvia definitivamente alla guerra e, anzi, vedendo in essa un’opportunità di rilancio dell’economia stagnante, è necessario stringere il cappio su quei fenomeni che palesano la crisi egenomica delle classi dominanti occidentali. Dei servizi segreti integrati aiuterebbero largamente questa opera di repressione anche preventiva.
Il secondo punto da evidenziare è ciò che un sistema del genere implica di per sé. Stati Uniti, Australia, Canada, Nuova Zelanda e Regno Unito hanno una struttura di condivisione delle informazioni di intelligence nella rete Five Eyes, e Niinistö ha chiaramente in testa una cosa simile, anche se la sua proposta sembra ancora più ambiziosa.
Infatti, da più parti è stato fatto notare come la UE disponga già dell’European Centre for Information Policy and Security (ECIPS), agenzia creata nel 2015 proprio con lo scopo evocato dal politico finlandese. All’inizio del 2020 è stato creato anche l’Intelligence College in Europe (ICE), per sviluppare una cultura del settore e una formazione più omogenea a livello europeo.
Ma rimane il nodo che i trattati europei indicano esplicitamente l’ambito dei servizi segreti come di competenza dei singoli stati, e infatti in molti hanno criticato l’iniziativa delineata qualche giorno fa come contraria alle norme stabilite. Insomma, non si tratta solo di condivisione, ma di andare oltre le regole seguite da decenni nella UE.
Del resto, è questo a cui stanno invitando importanti personalità, primo fra tutti Mario Draghi: bisogna adattare le strutture comunitarie alla differente fase della competizione globale che stiamo vivendo. Dal punto di vista produttivo, dal punto di vista del ‘fastidioso‘ rispetto delle tutele democratiche, dal punto di vista dell'intelligence e militare.
Non è più una questione di far quadrare i conti (e non è mai stata solo quello, a dir la verità). L’orizzonte che richiama l’idea di una CIA europea è la volontà di sviluppare una UE più unita – e verticalizzata nel suo processo decisionale – per stare al passo dello scontro internazionale.
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