di Michele Paris
Almeno un paio di inconvenienti stanno preoccupando in questi giorni
l’ex segretario di Stato americano, Hillary Clinton, in una fase che
dovrebbe precedere l’annuncio ufficiale del lancio della sua seconda
campagna per l’elezione alla Casa Bianca. Il primo fastidio è stato
causato dalla pubblicazione della lista di donatori della “Fondazione
Clinton” che la ex first lady dirige assieme al marito, Bill, e alla
figlia, Chelsea. Questa organizzazione ha scopi ufficialmente benefici
e, a partire dalla sua creazione nel 2001, ha distribuito in vari paesi
quasi 2 miliardi di dollari.
Scorrendo l’elenco dei benefattori
si incontrano però molti governi autoritari, grandi corporations e
società appaltatrici del Pentagono che, con ogni probabilità, hanno a
cuore non tanto la filantropia quanto il desiderio di ottenere favori ai
vertici della politica USA.
Già ai tempi della sua nomina a
segretario di Stato nel 2009 era emerso il chiaro conflitto d’interessi
per via della Fondazione e delle strategie di raccolta fondi di
quest’ultima. Con la Casa Bianca, però, era stato raggiunto un accordo
secondo il quale la Fondazione non avrebbe accettato denaro dall’estero
proveniente da nuovi donatori. Un’importante eccezione era stata invece
stabilita per i donatori “abituali”, i quali avevano facoltà di
continuare a finanziare i progetti della Fondazione Clinton.
Dopo
le dimissioni di Hillary dal Dipartimento di Stato a inizio 2013, le
donazioni sono riprese a tutti gli effetti, superando in quello stesso
anno i 260 milioni di dollari. Sul sito web della Fondazione i donatori
sono raggruppati in scaglioni, in base alla quantità di denaro sborsato.
I più generosi hanno donato “oltre 25 milioni di dollari” e tra questi
spiccano la Fondazione Bill e Melinda Gates, un paio di imprenditori
multimiliardari impegnati in cause “progressiste” e la Lotteria
Nazionale olandese.
Passando agli scaglioni successivi, la lista
si fa più interessante. Tra coloro che hanno donato tra 10 e 25 milioni
di dollari figura ad esempio il Regno dell’Arabia Saudita, mentre a
staccare assegni con cifre comprese tra i 5 e i 10 milioni sono stati,
oltre a Michael Schumacher, il governo del Kuwait e Coca-Cola Company.
Le
tre rimanenti monarchie assolute del Golfo Persico sono ugualmente
presenti nella lista, con donazioni tra 1 e 5 milioni di dollari
(Emirati Arabi, Oman, Qatar), così come facoltosi individui che
risiedono in questi stessi paesi. Ugualmente, molto nutrita è la
rappresentanza delle principali corporations e dei grandi istituti
finanziari, tra cui Barclays Capital, Cisco, ExxonMobil, Microsoft,
Pfizer, Procter & Gamble, Dow Chemical, Goldman Sachs, Toyota,
Walmart, Boeing, Google, Chevron e molti altri.
Il caso di Boeing
aiuta a comprendere la natura dei rapporti tra i donatori - o almeno
parte di essi - e la Fondazione Clinton. In qualità di segretario di
Stato, nel 2009 Hillary si era adoperata con il governo russo per
vendere a Mosca 50 velivoli 737 della compagnia americana. Qualche mese
più tardi, quest’ultima avrebbe staccato il suo primo assegno da 900
mila dollari a favore della Fondazione, destinati a finanziare il
sistema scolastico di Haiti.
La stessa dinamica è riscontrabile in relazione alla compagnia General Electric (GE). Secondo il Wall Street Journal,
nell’ottobre del 2012 Hillary fece pressioni sul governo dell’Algeria
per appaltare a GE la costruzione di centrali elettriche nel paese
nordafricano. Il mese successivo, la Fondazione Clinton chiese alla
stessa compagnia una donazione per espandere un’iniziativa sanitaria.
Prevedibilmente, GE staccò un assegno per un importo compreso tra i 500
mila e il milione di dollari e nel settembre del 2013 ottenne il
contratto per le centrali elettriche in Algeria.
Non sempre la
vera e propria attività di “lobbying” di Hillary Clinton ha dato i suoi
frutti, come nel caso dei tentativi falliti di convincere alcuni paesi
dell’Europa orientale a concedere i diritti di sfruttamento dei propri
giacimenti di gas a ExxonMobil e Chevron.
Sempre nel 2012, poi,
il gigante della distribuzione Walmart aveva promesso 12 milioni di
dollari per finanziare numerose cause legate ai diritti delle donne in
America Latina, compresi 1,5 milioni destinati alla Fondazione Clinton.
Un mese dopo, l’allora segretario di Stato era al lavoro in India per
spingere il governo a cancellare il divieto sull’apertura di mega-negozi
di proprietà di compagnie straniere, a cui proprio Walmart puntava da
tempo per penetrare un mercato sterminato. Gli sforzi di Hillary,
tuttavia, non ebbero successo.
Un altro caso ampiamente riportato
dalla stampa americana è infine quello del governo algerino,
protagonista di una donazione da 500 mila dollari che, a differenza di
quelle formalmente legittime di altri soggetti, avrebbe violato
l’accordo sottoscritto nel 2009 tra la Fondazione Clinton e la Casa
Bianca.
Il denaro arrivato da Algeri si inseriva in una campagna
di “lobbying” messa in atto negli Stati Uniti per contrastare gli
effetti di un rapporto del Dipartimento di Stato sui diritti umani nel
mondo che puntava il dito, tra gli altri, proprio contro il governo di
questo paese del Maghreb. L’elargizione assicurata alla Fondazione
Clinton era superiore al resto del budget stanziato complessivamente
dall’Algeria in un anno intero per questo genere di iniziative negli
Stati Uniti.
Nei commenti apparsi su quasi tutti i giornali
americani, i rapporti della Fondazione Clinton con potenti donatori,
soprattutto stranieri, sono stati condannati o messi in discussione
principalmente a causa di possibili indebiti scambi di favori, con il
coinvolgimento appunto del Dipartimento di Stato e, viste le ambizioni
di Hillary, potenzialmente la stessa Casa Bianca.
Da tenere in
considerazione è però anche un altro aspetto che si incrocia con la
tradizionale strategia del governo USA di utilizzare le questioni dei
diritti umani o le apparenti battaglie per cause umanitarie al fine di
promuovere gli interessi della propria classe dirigente.
In
questo senso, la Fondazione Clinton sembra essere un altro strumento per
raggiungere gli obiettivi della politica estera americana, come nel
caso di Haiti, dove dopo il terremoto del 2010 l’ente benefico che fa
capo all’ex presidente democratico ha svolto un ruolo di primo piano
nella “ricostruzione”. Un processo, quest’ultimo, pilotato verso una
soluzione favorevole al governo e alle corporations americane,
perseguita anche attraverso la controversa elezione alla presidenza nel
2011 del duvalierista molto gradito a Washington, Michel Martelly.
Più
di recente, gli intrecci della Fondazione Clinton con la politica
estera USA sono riemersi in occasione del voto in Sri Lanka. Qui, gli
Stati Uniti hanno manovrato dietro le quinte per giungere alla rimozione
del presidente, Mahinda Rajapaksa, colpevole di avere orientato
strategicamente il proprio paese verso la Cina.
A tessere la
trama per Washington che ha alla fine portato alla presidenza l’ex
ministro di Rajapaksa, Maithripala Sirisena, è stata l’ex presidente
dello Sri Lanka, Chandrika Kumaratunga, membro della Fondazione Clinton
fin dal 2005.
L’altro grattacapo per la probabile candidata
democratica alla Casa Bianca nel 2016 è scaturito infine dalla
pubblicazione martedì della notizia che, durante i quattro anni
trascorsi al Dipartimento di Stato, Hillary ha utilizzato esclusivamente
il proprio account privato di posta elettronica per la corrispondenza
legata al suo incarico.
Da alcuni anni, una legge negli Stati
Uniti impone a coloro che occupano cariche federali di utilizzare
account governativi, sia per motivi di sicurezza sia di trasparenza, in
modo da consentire la conservazione della corrispondenza che può essere
messa a disposizione di storici, giornalisti o membri di commissioni del
Congresso.
La scelta di Hillary di usare il proprio account privato per le
comunicazioni ufficiali sembra essere senza precedenti a partire
dall’approvazione della legge che regola tale questione. Inoltre, le
e-mail inviate e ricevute dall’ex segretario di Stato tra il 2009 e il
2013 sono state consegnate al Dipartimento di Stato solo un paio di mesi
fa e dopo una richiesta esplicita del governo.
La vicenda,
perciò, minaccia di alimentare ulteriormente le polemiche mai sopite nei
confronti di Hillary, ma anche del marito Bill, per una più che
evidente inclinazione alla segretezza e alla mancanza di trasparenza.
Fonte
Il "solito" caso di privati che usano le istituzioni pubbliche per curare i propri affari e quegli degli amici o sponsor di turno.
Fortuna che quello americano è il modello che ogni 3x2 viene proposto dai presunti progressisti quando c'è da mettere alla berlina il sistema Italia nel momento in cui un mariuolo a caso viene beccato con le mani nella marmellata.
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