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02/06/2015

La tenaglia curda sull'ISIS e la svolta nel conflitto siriano

90 chilometri. A tanto ammonta la distanza tra i cantoni del Rojava di Kobane e Cizire; un residuo di territorio soggiogato dall'ISIS e che vede nella città di Tel Abyad (GireSipi in curdo) una delle principali arterie attraverso cui dalla Turchia scorrono flussi di uomini, capitali e rifornimenti verso le terre del califfo. Un regno di terrore gemellato con la tenuta statale turca di Tigem dall'altra parte del valico; un punto di raccolta dei miliziani fondamentalisti coordinato da ex-ufficiali del JITEM (servizio segreto parallelo della gendarmeria turca), riciclatisi nelle amministrazioni di Urfa e Ceylanpınar.

E' contro tale snodo che è ora diretta l'operazione "Comandante Rubar" (dal nome del martire Rubar Qamishlo, caduto in combattimento il 14 maggio, che l'aveva progettata) delle YPG e YJA dei due cantoni. Le quali, dopo mesi di consolidamento e messa in sicurezza dei territori liberati - rallentata dalla penuria di aiuti causata dall'embargo turco, ma anche dalla costruzione di un'economia autogestionaria - sono passate all'offensiva, fiancheggiate da milizie arabe, yezide ed assire.

Dopo la liberazione di Tel Tamir e  la rottura dell'offensiva ISIS contro Serekaniye, il passo decisivo è stata la battaglia del monte Abdelaziz/Kizwanan. Dalle cui alture, (sulle quali è stata poi issata un'enorme bandiera YPG) l'ISIS poteva imperversare in tutta la Siria nord-orientale. I partigiani del Rojava hanno potuto così conquistare ieri la città strategica di Mabrukah e compiere un ulteriore passo verso il sogno della riunificazione dei due cantoni.

Nel frattempo, trascorsi mesi di sanguinoso stallo, nelle ultime settimane il conflitto siriano sembra aver imboccato una svolta decisiva. A nord-ovest si è registrata la ripresa d'iniziativa delle milizie legate all'Esercito Libero Siriano e dei qaedisti di al-Nusra, con l'afflusso di equipaggiamento militare di miglior qualità ed un maggiore coordinamento, sfociato poi nella conquista della quasi totalità della provincia di Idlib in mano al regime di Damasco dall'inizio del conflitto.

Tale situazione non è che una proiezione a livello locale della politica di potenza agita dal nuovo re saudita Salman (che ha riallineato il fronte delle monarchie reazionarie arabe anche su altri fronti, come quello yemenita), deciso ad opporsi alle ambizioni regionali iraniane - queste ultime galvanizzate dal recente processo di disgelo verso la comunità internazionale.

A sud dopo la spettacolare conquista di Palmira e lo smantellamento dell'ultimo posto di frontiera governativo con l'Iraq, le forze del sedicente Stato Islamico sono dirette verso la base aerea di Tiyas. Un presidio al crocevia verso le grandi città di Homs ed Hama, in cui è di stanza una quota considerevole di bombardieri e Mig-25 dell'aeronautica militare di Assad. Un'evoluzione che si dipana nella consapevole inazione occidentale; dopo oltre tre anni in cui il regime non controlla e retrocede da vaste aree del paese, si rafforza l'ipotesi di un suo collasso definitivo. A cui seguirebbe il partizionamento compiuto della Siria su basi etniche e religiose tra sunniti, curdi ed alawiti.

A tutto ciò appare completamente speculare l'iniziativa rivoluzionaria curda, che dalla resistenza sul monte Sinjar in Iraq, alla rivolta di Mahabad in Iran, fino al crinale politico delle imminenti elezioni amministrative in Turchia propone un progetto transnazionale, interconfessionale e meticcio. Che, a chi oggi vuole edificare nel sangue nuovi confini al posto dei vecchi lasciti coloniali, oppone con forza l'idea che quei confini, nel mondo di domani, non debbano avere legittimità alcuna.

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