90 chilometri. A tanto ammonta la distanza tra i cantoni del Rojava
di Kobane e Cizire; un residuo di territorio soggiogato dall'ISIS e che
vede nella città di Tel Abyad (GireSipi in curdo) una delle principali
arterie attraverso cui dalla Turchia scorrono flussi di uomini, capitali
e rifornimenti verso le terre del califfo. Un regno di terrore
gemellato con la tenuta statale turca di Tigem dall'altra parte del
valico; un punto di raccolta dei miliziani fondamentalisti coordinato da
ex-ufficiali del JITEM (servizio segreto parallelo della gendarmeria
turca), riciclatisi nelle amministrazioni di Urfa e Ceylanpınar.
E'
contro tale snodo che è ora diretta l'operazione "Comandante Rubar"
(dal nome del martire Rubar Qamishlo, caduto in combattimento il 14
maggio, che l'aveva progettata) delle YPG e YJA dei due cantoni. Le
quali, dopo mesi di consolidamento e messa in sicurezza dei territori liberati -
rallentata dalla penuria di aiuti causata dall'embargo turco, ma anche
dalla costruzione di un'economia autogestionaria - sono passate
all'offensiva, fiancheggiate da milizie arabe, yezide ed assire.
Dopo la liberazione di Tel Tamir
e la rottura dell'offensiva ISIS contro Serekaniye, il passo decisivo è
stata la battaglia del monte Abdelaziz/Kizwanan. Dalle cui alture,
(sulle quali è stata poi issata un'enorme bandiera YPG) l'ISIS poteva
imperversare in tutta la Siria nord-orientale. I partigiani del Rojava
hanno potuto così conquistare ieri la città strategica di Mabrukah e
compiere un ulteriore passo verso il sogno della riunificazione dei due
cantoni.
Nel frattempo, trascorsi mesi di sanguinoso stallo, nelle ultime
settimane il conflitto siriano sembra aver imboccato una svolta
decisiva. A nord-ovest si è registrata la ripresa d'iniziativa delle
milizie legate all'Esercito Libero Siriano e dei qaedisti di al-Nusra,
con l'afflusso di equipaggiamento militare di miglior qualità ed un
maggiore coordinamento, sfociato poi nella conquista della quasi
totalità della provincia di Idlib in mano al regime di Damasco
dall'inizio del conflitto.
Tale situazione non è che una
proiezione a livello locale della politica di potenza agita dal nuovo re
saudita Salman (che ha riallineato il fronte delle monarchie
reazionarie arabe anche su altri fronti, come quello yemenita), deciso ad opporsi alle ambizioni regionali iraniane - queste ultime galvanizzate dal recente processo di disgelo verso la comunità internazionale.
A
sud dopo la spettacolare conquista di Palmira e lo smantellamento
dell'ultimo posto di frontiera governativo con l'Iraq, le forze del
sedicente Stato Islamico sono dirette verso la base aerea di Tiyas. Un
presidio al crocevia verso le grandi città di Homs ed Hama, in cui è di
stanza una quota considerevole di bombardieri e Mig-25 dell'aeronautica
militare di Assad. Un'evoluzione che si dipana nella consapevole
inazione occidentale; dopo oltre tre anni in cui il regime non controlla
e retrocede da vaste aree del paese, si rafforza l'ipotesi di un suo
collasso definitivo. A cui seguirebbe il partizionamento compiuto della
Siria su basi etniche e religiose tra sunniti, curdi ed alawiti.
A
tutto ciò appare completamente speculare l'iniziativa rivoluzionaria
curda, che dalla resistenza sul monte Sinjar in Iraq, alla rivolta di
Mahabad in Iran, fino al crinale politico delle imminenti elezioni
amministrative in Turchia propone un progetto transnazionale,
interconfessionale e meticcio. Che, a chi oggi vuole edificare nel
sangue nuovi confini al posto dei vecchi lasciti coloniali, oppone con
forza l'idea che quei confini, nel mondo di domani, non debbano avere
legittimità alcuna.
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