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08/06/2015

Siria - Dopo tre decenni Fatah si riavvicina a Damasco

Dopo 32 anni Fatah torna a Damasco. Secondo quanto riportato ieri dal funzionario del partito palestinese, Abbas Zaki, a breve saranno riallacciate relazioni ufficiali con il governo siriano, definitivamente interrotte l’anno dopo l’invasione israeliana del Libano nel 1982.

A seguito della visita della degazione di Fatah in Siria (“un successo”, dice Zaki), durante la crisi del campo profughi di Yarmouk attaccato dallo Stato Islamico, l’ufficio politico del partito riaprirà in Siria. Eppure a guardare bene la visita non fu poi così di successo: l’inviato dell’Olp, Ahmed Majdalani, pochi giorni dopo il primo aprile, giorno in cui iniziò l’offensiva dell’Isis contro il campo, fu smentito dall’ufficio centrale dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina per aver annunciato un coordinamento militare tra gruppi palestinesi e governo di Damasco. Nessun coordinamento con Assad, tuonò l’Olp, che lo richiamò in sede.

Eppure oggi Fatah tenta il riavvicinamento alla famiglia Assad dopo tre decenni di interruzione delle relazioni, mentre Yarmouk vive quotidiniamente la sua tragedia: ancora occupato al 40% dai gruppi islamisti rivali-alleati di al-Nusra e Isis, controllato a nord e a est dai gruppi palestinesi, è tuttora terreno di scontri frequenti tra jihadisti e combattenti palestinesi. La situazione umanitaria è al collasso: secondo l’agenzia Onu Unrwa migliaia di rifugiati vivono ancora in condizioni estremamente critiche, perché gli aiuti non entrano più dal 28 marzo.

Una decisione, quella di riprendere le relazioni diplomatiche, che potrebbe derivare da diversi fattori. In primis, il tentativo per Fatah di riguadagnare qualche punto di consenso tra la popolazione palestinese, profondamente delusa dalla strategia politica del partito di governo, accusato di fare gli interessi dell’occupazione israeliana e di incapacità nello sfidare l’occupante (ultimo caso in ordine di tempo, il ritiro della richiesta di sospensione di Israele dalla Fifa).
In secondo luogo, l’interesse a entrare – seppur indirettamente – nel grande asse sciita guidato dall’Iran, ad oggi il più efficace in termini militari e politici nella battaglia contro lo Stato Islamico e i tentativi divisivi messi in campo dall’asse concorrente, quello sunnita guidato dall’Arabia Saudita.

Ed è qui che entra in gioco Hamas: il movimento islamista palestinese, che con Fatah ha dato vita ad un governo di unità nazionale litigioso, diviso e inefficace, se da una parte ha tentato negli ultimi tempi di riallacciare le relazioni con l’Iran (in passato fornitore di armi al gruppo, via Egitto), dall’altra ha rotto i rapporti con l’ex alleato siriano per schierarsi con i gruppi di opposizione siriani, in primo luogo l’Esercito Libero Siriano. Un errore grave, che ad Hamas è costato l’isolamento regionale dopo il fallimento dell’Islam politico dei Fratelli Musulmani in Egitto: caduta la Fratellanza, di cui Hamas è membro, il movimento si è ritrovato solo, senza il sostegno di Damasco, prima sede dell’ufficio politico in esilio e sostenitore della resistenza armata.

Un ruolo che Damasco riveste da decenni: tra i paesi che hanno accolto più rifugiati palestinesi dopo la Nakba del 1948, ha sempre giocato il ruolo di aiuto alla resistenza palestinese contro l’occupazione israeliana, armando e finanziando gruppi ideologicamente vicini e fornendo loro protezione durante l’esilio. E se negli anni ’70 e ’80 fu rifugio per gruppi di sinistra e comunisti, come il Fronte Popolare e il Fronte Democratico, nel 1999 ospitò Hamas cacciata via dalle autorità giordane.

Con lo scoppio della guerra civile, quattro anni fa, i gruppi palestinesi si sono spaccati tra chi è rimasto fedele ad Assad e chi ha rotto i rapporti. Fatah e l’Olp hanno tentato l’accidentata strada della neutralità, timorosi da una parte di perdere consensi per non aver dimostrato vicinanza a Damasco e dall’altra di perdere l’appoggio dell’Occidente schierato contro Assad. E oggi riaprono a Damasco, mettendo ulteriormente in crisi chi ha abbandonato i rapporti con la Siria, ovvero Hamas.

Oggi Yarmouk, sotto assedio dal dicembre 2012, è di nuovo l’ago della bilancia. Per Fatah l’occasione di riavvicinarsi alla Siria senza pestare i piedi a nessuno dei suoi sponsor internazionali.

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