di Michele Paris
Gli sforzi
messi in atto dall’amministrazione Obama per spianare la strada
all’approvazione di alcuni trattati di libero scambio, ritenuti
fondamentali dalle multinazionali americane, continuano a faticare a
produrre risultati tangibili. A Washington sono infatti in corso
frenetiche trattative tra la Casa Bianca e il Congresso per superare i
nuovi ostacoli emersi in seguito a un voto della Camera dei
Rappresentanti nel fine settimana scorso tutt’altro che favorevole al
presidente Obama.
A larga maggioranza, la Camera aveva bocciato
la cosiddetta “Trade Adjustment Assistance” (TAA), ovvero un
provvedimento tradizionalmente collegato ai trattati di libero scambio
sottoscritti dagli Stati Uniti con altri paesi. Questa legge, i cui
effetti positivi potrebbero scadere alla fine di settembre, prevede
compensazioni economiche e programmi di formazione per quei lavoratori
che perdono il loro impiego a causa degli stessi trattati.
Lo
stop alla TAA ha comportato la stessa sorte per un altro provvedimento
ad essa collegato, la “Trade Promotion Authority” (TPA) o “Fast Track
Authority”, decisamente più importante ai fini dei negoziati
internazionali sui trattati di libero scambio. In caso di approvazione,
la TPA assegnerebbe per cinque anni a Obama e al suo successore
l’autorità per stipulare con le proprie controparti straniere dei testi
praticamente definitivi dei vari trattati, dal momento che il Congresso
avrebbe facoltà soltanto di approvarli o respingerli, senza poter
discutere o votare eventuali emendamenti.
I due provvedimenti
erano stati uniti in un unico pacchetto dalla leadership repubblicana
del Senato nel mese di maggio, così da permettere ai senatori di
entrambi gli schieramenti provenienti da stati già duramente colpiti dal
processo di deindustrializzazione di votare per la concessione al
presidente dell’autorità di negoziare in autonomia i trattati di libero
scambio senza essere accusati di non avere a cuore le sorti dei
lavoratori.
TAA e TPA sono state però separate alla Camera e,
mentre la seconda è stata approvata di misura, la prima non ha avuto la
stessa fortuna. La maggior parte dei democratici, in particolare, ha
deciso di non votare per una misura che essi stessi sostengono, con
l’obiettivo di impedire l’avanzamento delle trattative sui trattati di
libero scambio. Anche la maggioranza dei repubblicani ha votato contro
la TAA, considerata una forma di welfare e quindi sostanzialmente uno
spreco di denaro pubblico.
L’importanza per la classe dirigente
americana della “Fast Track Authority” è in ogni caso evidente dal fatto
che tutti i principali trattati di libero scambio sottoscritti dagli
Stati Uniti negli ultimi decenni sono stati approvati ricorrendo ad
essa, inclusi il NAFTA (Accordo Nordamericano per il Libero Scambio) del
1994 e quelli più recenti, firmati nel 2011, con Colombia, Panama e
Corea del Sud.
Il
primo trattato che verrebbe probabilmente ratificato con la
riapprovazione di questo procedimento accelerato è la Partnership
Trans-Pacifica (TPP), in fase di negoziazione tra Washington e altri
undici paesi asiatici, latinoamericani e dell’area del Pacifico. Più che
un trattato di libero scambio tradizionale, il TPP risulta essere il
tentativo di creare nella quasi totale segretezza un gigantesco spazio
economico nel quale a dettare le regole sarebbe il capitale
statunitense.
Sostanzialmente gli stessi principi di supremazia
del business - in particolare di quello a stelle e strisce - stanno
guidando poi i negoziati per la Partnership Transatlantica sul Commercio
e gli Investimenti (TTIP) tra USA e Unione Europea, anch’essa
potenzialmente coperta dalla TPA.
Oltre a creare condizioni
favorevoli per le grandi aziende americane, questi accordi sono
considerati come importanti armi strategiche, da qui l’impegno dedicato
alla loro approvazione da parte della Casa Bianca. Nel TPP, da cui è
esclusa significativamente la Cina, Washington vede uno strumento
decisivo nella strategia di accerchiamento e contenimento di Pechino,
mentre il TTIP è principalmente il tentativo di impedire l’integrazione
economica tra l’Europa da una parte e la Russia e la Cina dall’altro,
ancorando il vecchio continente agli Stati Uniti.
Gli stessi
paesi che dovrebbero sottoscrivere questi trattati con gli USA attendono
inoltre che alla Casa Bianca sia assegnata l’autorità prevista dal
“Fast Track”, poiché in pochi accetterebbero di firmare un accordo che
potrebbe essere modificato anche pesantemente dal Congresso.
I
giornali americani hanno così parlato in questi giorni di fitte
conversazioni telefoniche tra Obama e i membri del suo staff e i
deputati democratici per convincerli a tornare sui propri passi e
approvare la FTA.
Il presidente e lo “speaker” della Camera, il
repubblicano John Boehner, sono poi in contatto per pianificare le
prossime mosse. Una prima ipotesi potrebbe consistere in un nuovo voto
sull’identica versione del provvedimento bocciato settimana scorsa,
nella speranza che un numero sufficiente di deputati democratici ceda
alle pressioni dell’amministrazione Obama. In alternativa, Boehner
potrebbe cercare di convincere i suoi compagni di partito che hanno
votato contro la TPA a cambiare idea, ma i circa 90 voti necessari
sembrano essere al momento un ostacolo decisamente insuperabile.
Altre
possibili manovre prevederebbero l’inserimento della TAA in una legge
ad essa estranea ancora da approvare e che raccoglie un ampio consenso
bipartisan. Tuttavia, una simile mossa rischierebbe di affondare anche
quest’ultima se la resistenza ad approvare il provvedimento dovesse
persistere.
Ancora, i vertici della Camera potrebbero programmare
un nuovo voto solo sulla TPA e poi inviarla al Senato, dove dovrebbe
essere nuovamente approvata, visto che sarebbe disgiunta dalla TAA. Al
Senato, però, non ci sarebbero voti sufficienti a causa dell’assenza
della misura destinata ai lavoratori penalizzati dai trattati di libero
scambio. La Camera, in ogni caso, avrà tempo fino alla fine di luglio
per trovare una soluzione allo stallo.
Lo
scontro in atto a Washington ha comunque ben poco a che vedere con le
conseguenze negative prodotte dall’approvazione del TPP o del TTIP per i
lavoratori americani, nonostante a ciò facciano riferimento i politici
che si oppongono alle politiche commerciali della Casa Bianca. Se
scrupoli di questo genere vi sono, essi sono di natura puramente
elettorale, mentre gli schieramenti venutisi a creare riflettono in
realtà diversi interessi all’interno del business d’oltreoceano.
Da
un lato, l’amministrazione Obama e la maggioranza dei repubblicani
sembrano sposare la causa di settori come quello farmaceutico,
dell’industria finanziaria e le grandi aziende esportatrici che hanno
tutto da guadagnare dalla stipula dei trattati in fase di negoziazione.
Dall’altro, invece, i democratici al Congresso e le associazioni
sindacali sposano il punto di vista di quelle compagnie che sono state e
che rischiano di essere danneggiate dalla competizione con altri paesi.
Che
a Obama venga consegnata o meno dal Congresso l’autorità a gestire in
autonomia le trattative sugli accordi di libero scambio, a fare le spese
dell’ennesima crisi politica a Washington potrebbero essere proprio i
lavoratori che hanno perso o perderanno il lavoro in seguito all’entrata
in vigore del TPP o di accordi simili, visto che, in assenza di
un’intesa tra democratici e repubblicani, i modesti benefit previsti
dalla “Trade Adjustment Assistance” (TAA) saranno spazzati via con la
fine dell’anno fiscale in corso.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento