di Michele Giorgio – Il Manifesto
È azzardato parlare
di dimissioni di un esecutivo «nazionale» che, in verità, non ha mai
governato tutti i palestinesi di Cisgiordania e di Gaza. In ogni caso
l’intenzione annunciata l’altra sera dal presidente dell’Anp Abu Mazen
(a un vertice di Ramallah) di dimissionare il «governo di consenso», con
Hamas e Fatah insieme, nato un anno fa, amplifica la crisi nei rapporti
tra le due principali forze politiche palestinesi. A danno delle
aspirazioni del popolo palestinese sotto occupazione israeliana.
Senza alcun dubbio la mossa di Abu Mazen è anche una risposta
alle voci insistenti di trattative segrete, con la mediazione del
Qatar, tra Israele e Hamas per una tregua di alcuni anni, non firmata e
non dichiarata apertamente. Negoziati segreti guardati a dir
poco con sospetto da Abu Mazen. Nei disegni del governo Netanyahu,
piuttosto evidenti, gli accordi con Hamas per il mantenimento della
calma e, di conseguenza, dello status quo a Gaza, significano un maggior isolamento del presidente palestinese e il rinvio sine die di ogni residua ipotesi di trattativa Israele-Anp.
Abu Mazen tuttavia non può attribuire ad Hamas la responsabilità
esclusiva del mancato allargamento a Gaza dei poteri del governo di
consenso nazionale. Certo il movimento islamico non ha mai manifestato
un sincero desiderio di compromesso con Fatah e l’Anp sulla gestione
della sicurezza nella Striscia di Gaza, che dal 2007 è affidata
all’esclusivo controllo delle Brigate Ezzedin al Qassam, il braccio
armato di Hamas. Allo stesso tempo non si è mai compreso del
tutto cosa abbia impedito al governo del premier Rami Hamdallah di
operare anche a Gaza. Quelle rare volte che i ministri palestinesi sono
giunti nella Striscia, sono poi ripartiti subito per la Cisgiordania
lamentando intimidazioni vere o presunte da parte degli uomini di Hamas.
A ben vedere è mancata la volontà di Abu Mazen di risolvere i nodi
che hanno impedito e impediscono una vera riconciliazione tra le due
formazioni palestinesi. Differenze che oggi non sono più soltanto
ideologiche o strategiche ma sono legate più di tutto al mantenimento
del potere e a questioni economiche.
L’Anp non ha mai offerto una soluzione giusta alla questione
dei dipendenti pubblici di Gaza (circa 40 mila) rimasti senza lavoro e
reddito dopo lo scioglimento del governo di Hamas, guidato da
Ismail Haniyeh, in seguito alla formazione dell’esecutivo di unità
nazionale un anno fa. Ciò mentre oltre 20 mila abitanti di Gaza,
dipendenti pubblici del governo dell’Anp, rimasto in carica fino al
2007, continuano a percepire lo stipendio senza lavorare da ben otto
anni. La mediazione offerta dalla sinistra, in particolare dal Fronte
Popolare, è stata ignorata da Abu Mazen e dal vertice di Hamas.
Altro punto è il controllo dei tre valichi che dividono Gaza da Israele e Egitto.
Dopo l’offensiva «Margine Protettivo» della scorsa estate, l’Anp
proclamò l’intenzione di gestire i varchi per «rassicurare la comunità
internazionale» che rifiuta (su pressione di Israele e Usa) di avere
contatti con Hamas e permettere così un più veloce ingresso dei
materiali per la ricostruzione di Gaza. Da allora Hamas e l’Anp si
accusano a vicenda. Per l’Anp il movimento islamico rifiuta di
cedere il controllo dei valichi, per Hamas è l’Anp a non assumersi le
sue responsabilità ponendo come precondizione l’assenza ai terminal di
impiegati vicini al movimento islamista.
Hamas intanto nega la trattativa segreta con Israele, così non si
riesce a comprendere se ad alimentare le indiscrezioni sia solo il
desiderio della popolazione di Gaza o uno sviluppo diplomatico concreto.
Di certo c’è solo l’improvvisa partenza per il Qatar del numero
2 di Hamas, Musa Abu Marzuk, indicato dal quotidiano palestinese al
Quds come colui che starebbe esaminando una proposta di Doha per una
tregua prolungata con Israele in cambio di un porto galleggiante a Gaza
(sotto controllo straniero, di fatto israeliano).
La sensazione è che dietro le quinte qualcosa si stia muovendo.
L’Egitto, nemico giurato di Hamas, ha riaperto per alcuni giorni il
valico di Rafah fra la Striscia e il Sinai e per la prima volta da
tempo, ha autorizzato l’ingresso a Gaza di cemento per la ricostruzione.
E l’ala militare di Hamas assume un ruolo di spicco nel pattugliamento e
difesa delle linee tra la Striscia e Israele in modo da impedire i
lanci di razzi da parte dei gruppi salafiti, contribuendo di fatto alla
sicurezza del «nemico».
AGGIORNAMENTO ore 11 – HAMAS INCONTRA I PARTITI PALESTINESI A GAZA E SMENTISCE LA TRATTATATIVA CON ISRAELE
Ieri sera il movimento islamista ha incontrato i rappresentanti di
varie fazioni politiche palestinesi (Fronte Popolare, Fronte
Democratico, Jihad Islamica e Ppp) a Gaza. Dopo il meeting Saleh Zeidan,
del Fronte Democratico, ha fatto sapere alla stampa che Hamas ha negato
qualsiasi trattativa segreta con Israele perché avrebbe “conseguenze
drammatiche” e favorirebbe solo i piani israeliani di separare Gaza dal
resto della Palestina.
La notizia di un dialogo mediato dal Qatar era stata data martedì da
una fonte anonima interna al movimento, secondo la quale Hamas e Tel
Aviv starebbero discutendo di una tregua di lungo periodo. Contatti
confermati da una fonte israeliana, che li ha definiti informali.
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