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03/06/2015

Yemen - Prove di dialogo aspettando

di Sonia Grieco

Ieri i caccia della coalizione guidata dai sauditi sono entrati di nuovo in azione in Yemen, colpendo le basi dei ribelli sciiti Houthi nella capitale Sana’a e nelle province di Ibb, Saada e Lahj. Ci sono state vittime, ma il bilancio non è ancora noto.

Mentre il Paese continua a essere bombardato e la crisi umanitaria si aggrava, nel vicino Oman da giorni si tenta di negoziare una tregua che potrebbe coincidere con l’inizio del Ramadan, a metà giugno. E uno spiraglio si è aperto con il rilascio, lunedì, del giornalista americano Casey Coombs, nelle mani degli Houthi da settimane.

Un gesto di apertura, risultato dei colloqui indiretti tra i ribelli e funzionari statunitensi e britannici, che, secondo quanto riferisce il sito Middle East Eye (MEE), avrebbero prodotto la disponibilità degli Houthi a ritirarsi dai territori (più probabilmente da una parte) conquistati dall’inizio della loro avanzata (in linea con la risoluzione delle Nazioni Unite), lo scorso autunno, in cambio della cancellazione dalla lista delle sanzioni Onu. Per un’intesa del genere serve il via libera del Consiglio di Sicurezza, ma i colloqui in Oman, unico Paese del Golfo a non aver preso parte alla coalizione che da due mesi bombarda lo Yemen, potrebbero riaprire il negoziato di Ginevra sponsorizzato dall’Onu, previsto per lo scorso 28 maggio, ma saltato prima ancora di iniziare.

Punta alla Svizzera, ovviamente, l’inviato Onu Cheikh Ahmed, in visita a Riyad per trattare con i sauditi e gli esponenti del governo yemenita in esilio, per convincerli ad ammorbidire le richieste rispetto alla pretesa di un ritiro incondizionato degli Houthi come presupposto necessario per sedersi al tavolo del negoziato. Secondo Al Jazeera, il presidente yemenita Abd Rabu Mansour Hadi si è detto pronto a parlare con i ribelli sciiti a Ginevra e i colloqui potrebbero aprirsi il 10 giugno, stando a quanto dichiarato da un funzionario Onu all’Afp. Resta però da capire a quali condizioni e se Riyad è disponibile ad accettare di buon grado una soluzione negoziata grazie alla mediazione dell’Oman che ha stretti legami con l’Iran, il Paese rivale con cui l’Arabia Saudita si contende l’egemonia regionale e che accusa di foraggiare i ribelli sciiti che nelle ultime settimane hanno attaccato i villaggi al confine con il regno dei Saud.

Per i sauditi gli Houthi sono una minaccia strategica, la mano lunga di Teheran che preme proprio ai loro confini. Dal canto loro, i ribelli sciiti rivendicano il ruolo politico che ritengono gli sia stato negato dopo la cosiddetta primavera yemenita del 2011, che ha portato alla fine del regime di Ali Abdullah Saleh i cui fedeli si sono schierati a fianco del gruppo sciita. In Yemen è stato un accordo di élite orchestrato dall’Arabia Saudita a mettere fine alle rivolte e gli Houthi ritengono di essere stati esclusi. Per loro aderire in maniera incondizionata alla risoluzione Onu 2216 dello scorso aprile (ritiro da tutti i territori occupati) sarebbe “una sentenza di morte”, ha spiegato a MEO Adam Baron, del think tank pan-europeo European Council on Foreign Relations.

La diplomazia continua a lavorare e considerato il forte sostegno che l’operazione militare a guida saudita ha raccolto nel regno, dove è considerata una legittima difesa contro l’espansionismo iraniano nella penisola, secondo alcuni analisti, per re Salman il Ramadan potrebbe essere l’occasione di non perdere la faccia davanti ai sudditi. Insomma, i raid si fermerebbero per la festività religiosa e questo renderebbe meno complicato per il nuovo monarca sospendere l’impresa yemenita.

Una sospensione dei raid che dal punto di vista umanitario è indispensabile. Gli analisti parlano di un ritorno all’età della pietra in Yemen, il Paese considerato il più povero del Medio Oriente, complice anche l’intransigenza saudita nel far passare gli aiuti. Riyad complica con la burocrazia il passaggio i carichi di carburante e di cibo, costringendo le Ong a rinnovare i permessi con una certa frequenza. La scorsa settimana Oxfam ha dichiarato che due terzi della popolazione non ha più accesso all’acqua potabile, con il rischio del diffondersi di malattie come il colera o la dissenteria. Il 60 per cento degli yemenita ha bisogno di aiuti umanitari. La crisi ha reso la popolazione vulnerabile e c’è chi punta il dito contro l’Arabia Saudita, accusata di usare la leva della crisi umanitaria per spingere gli yemeniti a ribellarsi contro gli Houthi.

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