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03/06/2015

L'Isis taglia l'acqua all'Iraq

L’Isis si gioca la carta dell’acqua per piegare la popolazione locale e continuare la sua espansione nella provincia dell’Anbar. I jihadisti, infatti, hanno chiuso le condotte della diga di Ramadi, sull’Eufrate, provocando una limitazione dell’afflusso di acqua verso le zone orientali della città conquistata lo scorso 17 maggio. Zone a cui puntano gli uomini di al-Baghdadi.

Una sconfitta che brucia e su cui si è scatenato un botta e risposta tra Baghdad e Washington che aveva accusato l’esercito iracheno di essersi ritirato davanti alle milizie del sedicente califfato. Ieri a Parigi, al vertice della coalizione anti-Isis che bombarda Iraq e Siria, il premier iracheno Haider al Abadi ha fatto mea culpa, ma ha anche rispedito al mittente le accuse: “La cattura di Ramadi e Palmira da parte dello Stato Islamico è stato un fallimento globale”; quindi anche degli americani.

Il giorno dopo il summit che ha messo in luce l’inefficacia dei raid della coalizione, con l’Iraq che chiede più armi e di poterle acquistare da Russia e Iran (che non hanno partecipato alla riunione parigina), l’Isis fa capire che non si ferma a Ramadi e punta alle zone della provincia ancora sotto il controllo governativo: Khaldiyah e Habbaniyah. E il raggiungimento dell’obiettivo passa anche dalla diga di Ramadi.

Con l’abbassamento del livello dell’Eufrate, infatti, i jihadisti potrebbero attraversare il fiume per raggiungere più agilmente altre zone, oppure allagarne altre per impedire le operazioni militari contro di loro. È dunque una questione soprattutto di tattica bellica, secondo Aoun Dhiyab, ex dirigente del Dipartimento iracheno delle risorse idriche: “Lo scopo dello Stato islamico non è tanto quello di tagliare l’acqua, ma di ridurre il livello del fiume per avvantaggiarsene militarmente”.

La questione, però, è anche umanitaria, ha fatto notare Rafa al-Fahdawi, uno dei leader del clan Albu Fahad che combatte contro l’Isis: “Tagliare le forniture d’acqua a Khaldiyah e Habbaniyah provocherà una crisi umanitaria non soltanto in queste aeree.

La situazione sul campo resta dunque incerta e complicata, e l’impegno a rafforzare gli sforzi bellici preso a Parigi rischia di non sortire gli effetti desiderati. Più armi, più soldi, più aiuti umanitari ed economici si scontrano con la palese debolezza della strategia della coalizione. Al summit si è glissato sul deludente risultato dei raid che, stando agli stessi Usa, non riescono a colpire gli obiettivi. Le missioni aeree nel 75 per cento dei casi si concludono senza lanci, perché gli obiettivi cioè i jihadisti, si muovono a piccoli gruppi e si nascondono tra la popolazione civile. Per Washington, però, la strategia non è fallimentare e a sostegno di questa tesi è intervenuto Antony Blinken, vice segretario di Stato Usa. A margine della riunione parigina, in un’intervista a una radio ha detto che nei raid della coalizione sono stati uccisi diecimila jihadisti in Iraq e in Siria. Cifre non verificabili.  Mentre resta sotto gli occhi di tutti il fatto che la coalizione sembra in panne.

Fonte

Se mai se ne verrà fuori, questo conflitto passerà certamente alla storia come il requiem del "potere aereo".

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