Guardando la cronaca politica di questi
giorni ci si può chiedere quale Marino sia sindaco di Roma. Se Ignazio,
gaffeur professionista dalla voce petulante, o Giovan Battista, poeta a
cavallo tra XVI e XVII secolo. Entrambi hanno avuto un intenso periodo
romano nella loro vita, entrambi rapporti controversi con la chiesa,
entrambi frequentatori dell'accademia degli umoristi. Solo che Ignazio
sta nell’accademia degli umoristi involontari mentre Giovan Battista
sapeva frequentare l’allora Accademia dei Begli Umori, che garantiva i
vantaggi delle entrature nel mondo politico senza gli svantaggi dei
veleni di corte.
A pensarci però sono più le similitudini
che le differenze: il marinismo, la scuola lanciata dal Giovan
Battista, si specializzò, tra le tante, nella figura retorica della
contrapposizione. Marino, Ignazio capostipite dell’umorismo
involontario, si è sbracciato per declamarsi antifascista contro i
fascisti, antimafioso contro i mafiosi e moralizzatore della sua propria
giunta anzi, di se stesso. Indimenticabile, su tutti i manuali,
l’effetto retorico della maraviglia mariniana che, nella poetica barocca
italiana, ha influenzato scuole e stili nazionali fino a lambire il
settecento. La maraviglia di Ignazio non sta solo nelle sue
indimenticabili gaffe, ma anche in questo gioco delle dimissioni
ricevute, date, lasciate, girate come una feroce ordalìa al mittente Pd.
O di quella faccia da primo della classe eterno che incita alla lotta,
contro chi non si capisce bene, il popolo romano citando Che Guevara. Il
quale si starà rivoltando nella tomba come un frullino: citato da un
improbabile sindaco di una ex maggioranza liberista-securitaria mezza
arancione amante delle cene nei ristoranti che contano negli Usa.
Nemmeno il marinismo originario avrebbe potuto cantare in versi questa
storia.
Ma cosa ci dice il marinismo (si
fa per dire) politico? Di una crisi violenta della residua base
materiale e politica della sinistra. Non sfugge che il raduno
pro Marino (Ignazio) dei giorni scorsi abbia anche una base materiale di
sinistra: opinione pubblica radical e moralizzatrice (quando si dice
credere alla propaganda..), lavoratori nel sociale che giustamente temono di essere spazzati via dalle prossime giunte, ceto politico di
sinistra che sente che è arrivata l’ultima ora di un lungo percorso di
patti con il centro che, dalle giunte Rutelli passando per Veltroni,
qualche frutto lo ha dato. Significativo che i lavoratori non abbiano
mosso un dito per Marino. Del resto il marinismo politico contemporaneo
ha uno stile ben preciso: tagli lineari al lavoro in nome della lotta
alle clientele. Per esser stato eletto con i voti di Buzzi, impagabile
il filmato di Marino a favore della cooperativa 29 giugno, niente male
davvero. Ora che Marino si giochi la propria sopravvivenza politica grazie
al modo con cui uscirà di scena da sindaco della capitale è
comprensibile. Meno che delle sinistre, e qui ci riferiamo al ceto
politico e non al popolo che è giustamente mutevole, insistano
nell’accanimento terapeutico verso cicli politici oramai abbondantemente
consumati.
Le sinistre istituzionali non
hanno ancora capito che il centrosinistra è finito. E’ terminato quel
lungo ciclo compromissorio, di alleanza tattica col liberismo dei Prodi
che redistribuiva risorse ad un ceto politico il quale, a sua volta,
redistribuiva risorse a reti di cooperazione. Sempre in cambio
di un appoggio che, smantella oggi smantella domani ogni bene pubblico,
ha finito per togliere ogni base materiale alle stesse sinistre. Il
marinismo attuale, espressione di un crepuscolare barocco politico
digitale (tra twitter e altri social media), indica l’insistenza di un
ceto politico di sinistra ad indugiare sul vuoto. Comprendiamo che un
quarto di secolo di tatticismi, usati dopo la fine del Pci come prima si
facevano invece dentro il Pci, erano comunque una coperta di Linus.
Utile dal punto di vista simbolico come materiale. Ma ora
immancabilmente, quando arriverà la marea, per chi continua a indugiare
sulle rive della tattica, non ci potrà che essere l’inevitabile: la
caduta nel nulla tra l’indifferenza generale.
redazione, 28 ottobre 2015
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