“Né erano altro che grattarla nelle calcagne, ove il capo prudea”, verrebbe da dire col sommo poeta, a proposito delle lamentele con cui alcuni esponenti ucraini parlano d'altro, rimasti senza voce per la batosta elettorale di domenica scorsa. Così, se addirittura la martire occidentale di ogni “sopruso antieuropeista”, quella Julja Timošenko che voleva risolvere la questione dei russi del Donbass con un paio di bombe atomiche, versa lacrime sulla “massa di falsificazioni dei risultati” elettorali operata dai suoi ex alleati di governo, il presidente Porošenko non trova nulla di meglio da fare che esaminare la questione dell'eliminazione, dai passaporti ucraini, delle pagine coi rimandi alla lingua russa, accanto alle altre lingue.
E se il Ministro degli interni, Arsen Avakov, è intenzionato a difendere in giudizio il proprio diritto a usare la lingua russa, allora il suo primo ministro (per quanto ancora?) Arsenij Jatsenjuk volge il capo dall'altra parte e blatera di lotta all'antisemitismo (alla maniera delle ex SS galiziane così oggi di moda in Ucraina?) come di una delle maggiori priorità del governo.
Avakov – nato a Baku, ma di nazionalità armena, occupa il 118esimo posto tra le persone più ricche d'Ucraina, con un patrimonio nel 2013 stimato a 99 milioni di $ – si è appellato contro la decisione del tribunale che gli impone di condurre tutta l'attività di stato usando esclusivamente la lingua ucraina. Essendo stato a suo tempo, quello del diritto a usare la propria lingua, uno dei punti cruciali che portarono poi all'attacco ucraino al Donbass, ecco dunque che Jatsenjuk parla d'altro e, per farlo, ricorre a un argomento che, nell'Ucraina di oggi, dovrebbe essere affrontato con più delicatezza, specialmente da chi sta eroicizzando le bande filonaziste galiziane che, durante l'ultima guerra, al servizio delle SS tedesche sterminarono anche decine di migliaia di ebrei ucraini.
Ma l'occasione, per Arsenij, era troppo ghiotta per cercare di ingraziarsi i padrini d'oltreoceano. L'incontro con una delegazione della Coalizione nazionale USA per il sostegno agli ebrei euroasiatici, sarà parsa ad Arsenij come una delle ultime possibilità per risalire un po' la china dei propri consensi (oggi all'1%); e allora, si nascondono per un giorno sotto il tappeto le nuove festività pro-Bandera e pro-UPA e ci si presenta nei panni del combattente contro l'antisemitismo; si vocifera di difesa della pace internazionale e, per una volta, non si parla del “vallo europeo” contro la Russia e ci si limita a condannare a qualche anno di prigione (in contumacia: ci mancherebbe!) chiunque metta piede in Crimea senza il permesso di Kiev; ci si batte il petto contro “ogni manifestazione di razzismo e xenofobia”, che non comprende, per carità, l'ostracismo di letteratura, arte e lingua russe; e, soprattutto, si invocano le aspirazioni eurointegriste ucraine. E il gioco è fatto.
E l'eurointegrazione ha buon gioco anche a latitudini leggermente più settentrionali: l'importante è difendere i “valori europei e occidentali” dalle “aggressioni di Mosca”: sul resto, in questi casi si può sorvolare. E' sufficiente, come ha fatto Jatsenjuk, condannare “ogni manifestazione di razzismo e xenofobia”; non importa poi crederci davvero, soprattutto se si fa parte della coalizione internazionale a “difesa di democrazia e libertà”. Dunque, anche nella “libera Estonia” (libera dalle “grinfie di Mosca”?), un nero è un nero e i discendenti dei cavalieri teutonici non sopportano colori diversi della pelle, anche se sono quelli dei “soldati arrivati a difendere la libertà” estone: le truppe Nato. Si è dovuto scomodare il Comandante in capo dell'aeronautica militare di Tallin, Jaak Tarien, per cercare di riannodare qualche filo: “Oggi mi sono vergognato della condotta dei miei compatrioti”. L'ingenuo Tarien ha ascoltato le parole del comandante della squadriglia aerea USA, il quale, dopo aver elogiato la bellezza del paese e la pulizia delle strade, gli ha parlato di come “gli alleati” di diverso colore, “nonostante arrivati fin là per difendere il vostro paese”, vengano trattati male a Tallin, “spesso verbalmente e a volte anche fisicamente”. Non volendo parlare, per sua stessa ammissione, dei profughi civili – verso cui l'Estonia non dà propriamente prova di “tolleranza europeista” – il Tarien si è limitato a “sentirsi offeso” per quei suoi compatrioti che accolgono con “sparisci e tornatene in Nigeria”, i buoni aviatori USA che cenano (pagando in dollari) tranquillamente nei ristoranti estoni, tra un'esercitazione e l'altra per “difendere l'indipendenza del nostro paese”.
Ma l'Estonia è l'Estonia e, contro le “aggressioni di Mosca”, un nero è un nero, anche se “difensore” Nato.
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