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Partire dal quadro sconfortante che dipinge le condizioni della nostra città è un dovere rituale e ineludibile dal quale non di ci può sottrarre, anche se ormai la realtà è così evidente, che supera ogni denuncia.
Le periferie, mai così abbandonate al degrado, vivono ormai "sull'orlo di una crisi di nervi" permanente, tra malesseri sociali profondi e reali, tensioni alimentate ad arte da squallidi mestatori, e l'ormai evidente progetto di trasformarle in una sorta di discarica sociale, in cui espellere ogni contraddizione prodotta dall'assenza di qualsiasi politica di governo, che non sia l'attuazione di tagli di bilancio e repressione del dissenso.
Il sistema dei servizi comunali portato al collasso, da una strategia in cui si combinano gli interessi criminali di dirigenti corrotti, l'assenza di investimenti e la lucida volontà politica di distruggerli, per poter meglio attuare le politiche di privatizzazione, di cui possano approfittare le lobbies economiche che esercitano il potere in città.
Il lavoro pubblico, che piuttosto che essere la risorsa prima di una idea di rilancio della città, viene indicato come la causa prima di ogni inefficienza, per giustificare l'attacco al reddito dei lavoratori, i processi di privatizzazione, distruggere gli ultimi elementi di garanzia e generalizzare la condizione di precarietà, che già caratterizza gran parte del lavoro privato.
La casa, un dramma senza fine e senza speranza, per il quale si è giunti al paradosso di un intervento papale, a riempire il vuoto della politica, e a tentare di scoraggiare la pratica criminale degli sgomberi dei senzatetto.
Il dissenso e il conflitto sociale, già estromessi dalle istituzioni, a cui oggi si vuole negare anche di rappresentarsi in modo visibile, negando il diritto di manifestare in centro, chiudendo e sgomberando gli spazi in cui si organizza la partecipazione sociale e democratica, criminalizzando le espressioni più radicali di conflitto.
Le istituzioni, che commissariate di fatto e persa ogni ambizione a rappresentare la vita democratica della città, rinunciando a qualsiasi autonoma capacità di governo, fanno dell'amministrazione dell'esistente il terreno di battaglia di interessi e lobbies contrapposte, in un quadro di discredito e di impermeabilità alle richieste della città.
Una città che nel suo complesso si mostra esausta, sfiduciata, rassegnata e purtroppo, incattivita.
In questo quadro di macerie, l'unica cosa certa è il progetto di ridefinire il ruolo della città, non in funzione dei bisogni di chi ci vive, ma di una strategia di valorizzazione del capitale, che punta sull'immagine di una "città vetrina", per il suo ruolo di grande capitale europea e il suo ricco patrimonio storico e artistico, sede di grandi eventi e cantiere di grandi opere, luogo di spoliazione di beni comuni e patrimonio pubblico. Un progetto che divide la città tra un centro storico "vendibile" e una periferia-discarica, da nascondere, zittire e lasciare all'abbandono. Una città da vendere, e neanche al miglior offerente.
E' questo un progetto lucido e organico, ma che oggi, anche a causa della crisi e delle politiche liberiste di rigore, sconta una forte debolezza sul piano politico: è infatti evidente la contraddizione tra un blocco di poteri economici, forte e radicato, che da sempre comanda a Roma, chiunque governi la città, e la sua incapacità di produrre egemonia e consenso politico ed elettorale, così come era stato nelle precedenti amministrazioni, quando l'economia romana cresceva a ritmi ipertrofici, cibandosi dell'uso sconsiderato del territorio, guidata dalla locomotiva di uno sviluppo urbanistico irrazionale e dalla disponibilità di forza lavoro immigrata, specie nell'edilizia, a basso costo e priva di garanzie.
In tal senso la crisi della città è soprattutto una crisi politica, di cui la prima evidente manifestazione sono state le percentuali di astensione elevatissime, soprattutto nelle periferie romane, in occasione delle ultime elezioni cittadine. Il sindaco Marino è stato eletto in quella occasione, con il più basso consenso degli elettori mai registrato, in termini di votanti reali.
Oggi tale crisi politica è conclamata nella crisi del PD romano, il partito che per due decenni ha garantito il consenso politico ed elettorale, ai poteri economici della città. La vicenda della giunta Marino, le lacerazioni della sua ex maggioranza, la guerra per bande che attraversa il PD romano, il commissariamento e l'intervento diretto di Renzi, rappresentano la fine di un corso politico che non rimpiangiamo. L'eventuale ricandidatura di Marino e comunque la sua volontà di continuare a giocare un ruolo politico, potrebbero essere la pietra tombale di ogni residua ambizione del PD di governare la città.
Si apre quindi una fase di vuoto politico, che può essere l'occasione per ogni avventura. Vanno ridefiniti i rapporti, tra rappresentanza politica e potentati economici, e questo è un passaggio tutt'altro che scontato negli esiti.
La destra populista, fascista e razzista, dopo la grande manifestazione contro Salvini di febbraio e l'azzeramento di ogni ambizione leghista a Roma, punta sull'immagine "borgatara" della Meloni, per recuperare il consenso di chi in borgata ci vive tutti i giorni, e non ci fa solo passeggiate elettorali. E' un pericolo reale, ma difficilmente potrà essere il coagulo di un blocco sociale omogeneo, in grado garantire le strategie del capitale a Roma.
Il sempreverde Marchini, potrà tentare di approfittare della crisi del PD per presentarsi come naturale referente dei poteri economici della città, ma questo difficilmente basterà a garantirgli il consenso elettorale necessario per governare.
Sarà molto probabilmente il M5S a raccogliere gran parte del malessere sociale, che ancora si esprime attraverso il voto, mescolando la reale volontà di cambiamento della città, con pulsioni autoritarie e legalitarie, bassi umori razzisti, il tutto nella cornice di quel populismo anticasta a cui s'è ridotta la residua volontà di partecipazione politica. Una vittoria del M5S apre ad un quadro di ulteriore destabilizzazione nella politica e nell'amministrazione cittadina, sia per le evidenti contraddizioni che si produrranno tra governo cittadino e governo nazionale, sia per le difficoltà di relazione tra governo cittadino e poteri economici, tra governo e la stessa macchina amministrativa comunale, e per le ambiguità stesse del M5S, che alimenta aspettative diverse e anche opposte, senza poi dimenticare il tema centrale, quello dell'impossibilità di governare la città, senza una chiara politica di rottura dei vincolo di bilancio e di rilancio dell'intervento pubblico. Il ritardo del M5S ad esprimere anche solo l'ipotesi di un candidato sindaco, è forse frutto della coscienza di queste difficoltà.
Questo lo scenario, questi i protagonisti, e in questa rappresentazione la sinistra politica e sociale sembra essere solo una comparsa. Una sinistra che sembra più che altro indecisa sulla scelta del soggetto a cui delegare il proprio ruolo, timorosa di agire in prima persona per la coscienza dei propri limiti. Così se da un lato ci si attarda a verificare gli ultimi margini di manovra all'interno di un centrosinistra che ha esaurito ogni ruolo e la sua stessa ragione di esistenza politica, magari affidandosi all'immagine del sindaco-vittima Marino, dall'altra sembra forte la propensione a rimanere alla finestra nell'attesa di capire quale sarà il prossimo interlocutore politico, per perpetuare quel po' di rappresentanza sociale e sindacale, che sembra oggi essere l'unica ragione dell'esistenza di una sinistra a Roma.
Ovviamente questa seconda opzione, non manca di richiami ideologici antisistema, oltre a rimarcare l'indiscutibile centralità del conflitto e dell'autorganizzazione sociale, come ambito prioritario della propria azione. Questo senza tener conto del fatto, che ormai dovrebbe essere evidente a tutti, che il languire del conflitto e della partecipazione sociale, la stessa difficoltà a reagire ai duri attacchi di questi mesi, sia sul fronte della lotta per la casa, che su quello degli spazi sociali, sul tema del lavoro e dei servizi, sono strettamente connessi alla difficoltà di trasformare il conflitto e la partecipazione, espressione di soggetti parziali e frammentati, in progettualità politica generale, capace di parlare a tutta la città.
Il PRC è un piccolo partito, parte di questa frammentata sinistra cittadina, ma pur cosciente dei propri limiti, per la sua stessa ambizione ad agire come "partito" comunista, non può rinunciare ad indicare i compiti della fase e a misurarsi con essi.
Riteniamo necessario quindi che la sinistra antiliberista, conflittuale e partecipativa, trovi la forza di agire nella crisi politica romana, anche e soprattutto nella prospettiva di poter svolgere un ruolo importante nella fase successiva alle elezioni, quando il quadro di destabilizzazione politica non potrà che accentuarsi, in un contesto di auspicabile crescita delle aspettative di cambiamento, favorito dalla sconfitta del PD.
Riteniamo necessario porre al centro della discussione sul governo della città, il tema della rottura dei vincoli di bilancio, la rimessa in discussione del debito e il pagamento degli interessi su di esso, un fisco locale in grado di colpire rendita e grandi patrimoni, per contrastare la vulgata deprimente "dell'assenza di risorse", e indicare chiaramente che "I SOLDI CI SONO", dobbiamo solo prenderceli. Un idea forte per ridare speranza a una città stremata. Sono questi temi che solo una sinistra coerente e determinata può porre, nella convinzione che i guasti di Roma, non sono solo il portato della corruzione e del malgoverno, ma dell'attuazione delle politiche di rigore imposte dall'Unione Europea.
Siamo convinti che il nostro impegno debba collocarsi chiaramente e senza ambiguità, al di fuori e contro, lo schieramento di centrosinistra che è oggi il più coerente garante di tali politiche di rigore.
Mettiamo a disposizione le nostre energie, la nostra organizzazione, la nostra presenza territoriale, nella costruzione di processi partecipativi che coinvolgano la parte viva della città, comitati, associazioni, centri sociali, movimenti e realtà sindacali, con l'obbiettivo di costruire insieme un'alternativa di governo, per presentarci, uniti, alla città intera.
Come Partito facciamo questo, non solo perché la città ne ha necessità, ma perché siamo convinti che la battaglia contro le politiche di rigore in una grande capitale come Roma, è tappa ineludibile della nostra battaglia contro questa Europa. Questa Europa si combatte qui, oggi, a Roma.
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