Il piano proposto dall’Onu lo scorso 9 ottobre per un governo di
unità nazionale in Libia si sta rivelando un mezzo fiasco. Dopo le
perplessità espresse dal governo islamista di Tripoli, infatti, ieri è
arrivata la bocciatura anche dal parlamento di Tobruq, quello riconosciuto dalla comunità internazionale.
“Una maggioranza di parlamentari è contraria alla proposta dell’Onu per
cui non la voteremo” ha dichiarato all’Afp il deputato Ali Tekbali.
L’indiscrezione di Tekbali è stata confermata anche dall’Agenzia stampa
ufficiale Lana.
Eppure l’inviato delle Nazioni Unite in Libia, Bernadino
Leon, era apparso fiducioso quando, ad inizio mese, aveva presentato la
sua proposta. Per comprendere le difficoltà
che ha la diplomazia nell’intervenire nello stato nord africano bisogna
tenere presente che dall’anno scorso la Libia ha due governi rivali: uno
islamico a Tripoli e l’altro riconosciuto dalla comunità internazionale
a Tobruk. In questo contesto, è facile capire perché i tentativi
di “pacificare” diplomaticamente il Paese siano estremamente complicati e
si siano rivelati finora fallimentari. Eppure questa volta, nonostante
lo scetticismo intorno alla squadra di governo proposta dall’inviato
Onu, si sperava che il risultato potesse essere diverso e che davvero si
potesse giungere alla fine delle ostilità tra Tripoli e Tobruq provando
così a ricomporre (almeno parzialmente) le tensioni che lacerano il
Paese devastato dalle bombe Nato e da centinaia di milizie armate più o
meno islamiche.
Oltre al premier Fayyez es-Serraj di Tobruq, il piano di Leon aveva individuato tre vice-primi ministri (rispettivamente provenienti dall’est, sud e ovest del Paese) che
avrebbero dovuto far parte del Consiglio di presidenza. La composizione
dell’esecutivo, specchio delle divisioni che regnano in Libia, era
stato accolto favorevolmente dalla rappresentante degli Esteri
dell’Unione europea, Federica Mogherini, che aveva anche promesso al
neo-esecutivo uno stanziamento di cento milioni di euro.
Un’intesa tra i due governi rivali resta fondamentale in un Paese
dove, caduto il rais al-Gheddhafi, proliferano gruppi legati in qualche
misura all’Isis (o che millantano una affiliazione al califfo
al-Baghdadi) e dove il traffico di esseri umani è ormai diventato uno
dei principali business delle bande e delle fazioni in lotta. Un accordo
che appare fondamentale soprattutto per gli europei che gioiscono al
solo pensiero di non ricevere più sulle loro coste ondate di migranti
africani dalla sponda sud del Mediterraneo (già basta la grana dei
rifugiati provenienti da est). Traversate rischiose durante le quali
migliaia di essere umani hanno perso la vita. L’Alto Commissariato delle
Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) stima che dall’inizio dell’anno
siano circa tremila le persone morte nel Mediterraneo in quelle che
politici e stampa occidentali si ostinano a chiamare “tragedie”, quasi
fossero calamità naturali e non la logica e diretta conseguenza
di politiche predatorie europee e statunitensi in terra libica e, più in
generale, in terra africana.
Il rifiuto di ieri del governo di Tobruq mostra per l’ennesima volta
quanto sia irrilevante l’Onu in Libia perfino tra i “suoi uomini” in
loco e come, di conseguenza, siano apparse esagerate, se non ridicole,
le sue minacce. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite aveva
infatti promesso sanzioni a coloro che “bloccano il processo di pace in
Libia”. Resta ora da capire se la comunità internazionale dalle parole
passerà ai fatti o, come appare più credibile, non compierà alcun atto
di ritorsione.
Mentre la diplomazia si muove con difficoltà, nel Paese si
continua a morire. Cinque persone sono state uccise ieri sera da una
bomba esplosa a Bengasi. A riportare la notizia sono state
fonti mediche locali dell’ospedale al-Jalaa secondo le quali le vittime
sono soprattutto bambini di età inferiore ai 10 anni. Sempre nella
giornata di ieri, inoltre, i combattenti dello Stato Islamico
(Is) hanno postato in rete un video in cui affermano di aver giustiziato
due uomini nella parte orientale del Paese. Secondo il
filmato, le due vittime sarebbero un cristiano del sud Sudan e un uomo
che avrebbe combattuto tra le file del governo di Tobruq.
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