Era stato annunciato da alcuni funzionari americani qualche settimana
fa: a un certo punto, si dovrà coinvolgere l’Iran nelle discussioni sul
futuro della Siria. E ieri sera Teheran ha ricevuto il fatidico invito di Washington: partecipare al prossimo round di colloqui che comincerà domani a Vienna per trovare una soluzione politica al conflitto in atto ormai da 4 anni.
La Repubblica islamica ha accettato, e il suo ministro degli Esteri
Mohamad Javad Zarif – artefice dello storico accordo sul nucleare
siglato con le potenze del 5+1 lo scorso luglio – volerà domani nella
capitale austriaca per sedersi al fianco della diplomazia europea e
araba impegnata senza successo da anni nella risoluzione della guerra
siriana.
Un invito fatto all’ultimo minuto, spiega un report dell’Associated Press,
frutto di settimane di braccio di ferro tra gli Stati Uniti e il loro
più fedele alleato nel Golfo, l’Arabia Saudita, potenza regionale rivale
dell’Iran. Proprio Riyadh, che ha foraggiato una parte della
ribellione a Bashar al-Assad con armi, denaro e influenza politica e
l’ha vista trasformarsi in jihadismo militante, si è sempre strenuamente
opposta alla presenza iraniana al tavolo negoziale per il sostegno dato
da Teheran al campo governativo.
Quando la Russia ha compiuto i suoi primi raid in territorio siriano,
lo scorso settembre, Riyadh aveva minacciato un intervento armato. Ma
ora che le sorti della guerra sono cambiate, e che l’asse
Mosca-Damasco-Teheran appare più forte sul campo rivelando il fallimento
della strategia militare portata avanti da Obama, Washington sembra
aver sacrificato l’alleato saudita – e forse l’intera impresa militare
di sostegno dei cosiddetti “ribelli moderati” – in nome della soluzione
politica.
“Riteniamo – ha dichiarato il vice ministro degli Esteri iraniano
Hossein Amir Abdollahian alla tv di stato – che la soluzione per la
Siria sia quella politica. Americani e stranieri in Siria non hanno
altra scelta se non accettare la realtà nel paese. Assad ... ha la
preparazione necessaria per i colloqui con i ribelli che si sono
impegnati in un percorso politico “.
La partecipazione dell’Iran ai colloqui, infatti, manda in frantumi il sogno delle cancellerie occidentali – in primis degli Stati Uniti – e dei loro alleati del Golfo di sbarazzarsi immediatamente del presidente siriano.
E’ una scommessa, che vede Washington e i suoi partner sostenere che
Assad sì, potrà partecipare alla “transizione politica” ma che al
termine del processo se ne dovrà andare, contrapposti a Russia e Iran
che hanno respinto a più riprese questa eventualità.
Gli altri punti critici dei colloqui, secondo quanto riporta l’Associated Press, riguardano
la lunghezza della transizione, la stesura di una nuova costituzione
e le modalità delle future elezioni nel paese. Resta un’incognita la
risposta del Consiglio Nazionale Siriano, compagine politica
riparata a Istanbul che si è autodefinita “l’unica rappresentante del
popolo siriano” e che trova il suo corrispettivo sul campo nei
cosiddetti “ribelli moderati”. Il Consiglio si è sempre opposto a una
soluzione politica che includesse Bashar al-Assad, arrivando a
boicottare i colloqui sponsorizzati dalla Russia.
Ora Washington spera di unire tutte le parti che abbiano una qualche
influenza nel paese arabo “intorno a una visione comune per una
soluzione pacifica, laica e pluralista in una Siria governata con il
consenso del suo popolo”. Cominciano a pesare troppo gli oltre 250 mila
morti, ma ancora di più pesano gli 11 milioni di profughi che, stando
alle dichiarazioni di vari diplomatici e funzionari europei, assumono
sempre più i connotati di una minaccia per il Vecchio Continente.
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