Più di 1.000 esecuzioni potrebbero esserci quest’anno in Iran. E’
quanto ha denunciato ieri all’Assemblea Generale della Nazioni Unite l’investigatore dell’Onu per i diritti umani in Iran, Ahmed Shaheed.
Secondo il funzionario, a partire dal 2005 il ricorso alla pena
capitale nella Repubblica islamica sta crescendo ad un “tasso
esponenziale” al punto tale che l’Iran vanta ora il (poco onorevole)
record di Paese con più persone giustiziate al mondo per numero di
abitanti. La maggior parte delle condanne a morte, ha
denunciato l’investigatore, viola le leggi internazionali che vietano
l’utilizzo della pena capitale per reati non violenti e per i minorenni e
ha chiesto per questi casi una moratoria. I dati snocciolati da
Shaheed sono inquietanti: nel 2014 sono state eseguite 753 esecuzioni,
694 solo nei primi 7 mesi del 2015.
Alcune organizzazioni umanitarie sostengono che finora le persone giustiziate sono state 800. Questo numero, è però solo temporaneo perché, ha aggiunto Shaheed, “ce ne sono decine che attendono uno stesso destino”
per cui “si raggiungerà probabilmente quota 1.000 entro la fine
dell’anno”. I reati puniti con maggiore frequenza sono quelli connessi
alla droga (il 69% delle esecuzioni nei primi sei mesi del 2015),
crimini giudicati “più gravi” dalle autorità locali e che vengono
equiparati a reati capitali perché danneggiano la salute e mettono in
pericolo il popolo iraniano.
Il rapporto di Shaheed presenta, comunque, anche degli aspetti positivi. Sebbene la condizione dei diritti umani nel Paese venga giudicata “tremenda”, tuttavia il
funzionario delle Nazioni Unite ha voluto sottolineare come il suo
studio sia “leggermente più ottimista” rispetto a quelli degli anni
precedenti. Per la prima volta, infatti, ha potuto incontrare
le autorità giudiziarie iraniane a Ginevra lo scorso settembre per
discutere con loro su come rispondere al problema della droga. Teheran avrebbe mostrato un impegno “concreto” a migliorare la condizione dei diritti umani.
In un Paese dove gli investigatori speciali dell’Onu sui diritti umani
non mettono piede dal 2005, però, la parola concreto può avere un
significato relativo.
In questo contesto “allarmante”, Shaheed ha sottolineato i
riflessi positivi che potrebbe avere sulla questione dei diritti umani
l’intesa sul nucleare tra l’Iran e le sei potenze mondiali raggiunta lo
scorso luglio. L’investigatore Onu ha esortato il presidente
iraniano Hassan Rouhani a fare di più per proteggere i diritti umani
fondamentali e a migliorare le leggi esistenti che li tutelano pur
sottolineando come queste riforme debbano ottenere il sostegno di tutti i
rami del governo e dello stato. “La mia speranza è che le autorità
iraniane possano avere lo stesso spirito costruttivo che ha permesso di
raggiungere l’accordo sul nucleare anche per quel che riguarda gli abusi
commessi sui detenuti” ha chiosato Shaheed.
Tra le pratiche denunciate dall’Onu vi è l’isolamento
prolungato, la tortura per estorcere confessioni, l’accesso vietato agli
avvocati e la criminalizzazione del diritto alla libertà di espressione.
Proprio quest’ultimo reato ha portato all’arresto di 46 giornalisti a
partire da aprile e ha comminato sentenze severe a chi ha usato i social
media per esprimere le proprie opinioni sul governo e sullo stato dei
diritti umani nel Paese. “Alcuni – ha concluso con amarezza Shaheed –
hanno ricevuto la pena di morte solo per aver postato articoli su
Facebook e altri social media [che trattavano questi argomenti]”.
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