Con una parola sola l'agenzia Novorossija caratterizza forse meglio di tanti discorsi il voto amministrativo di ieri, in quella che viene definita “la ex Ucraina”, per il rinnovo di circa 11mila amministrazioni locali: pseudoelezioni. Sorvolando per ora sulla percentuale di elettori che si sono recati alle urne – le cifre si rincorrono: da un 20% annunciato dal sito russo Vzgljad, al 46,6% ufficiale ucraino – l'aspetto in evidenza da tutti gli osservatori è quello dell'enorme numero di violazioni e irregolarità nelle norme sul voto, registrato in tutte le regioni: la piattaforma civile “Sostegno” ne contava ben 1.118 alle 4 di stamani. La maggior parte riguardano la campagna elettorale e la paura o le bastonature con cui gli oligarchi si sono comperati i voti degli elettori, seguito da irregolarità da parte delle commissioni elettorali locali.
Sul lato formale – pare quasi una tautologia, nell'ottica di un cambio di politica, pronosticare una vittoria, in questo o quel capoluogo, del presidenziale “Solidarnost” invece del “Patria” della Timošenko o del nazionalista “Autoaiuto” – si andrà al ballottaggio, il prossimo 15 novembre, in molte grandi città, a partire (sembra, al momento) dalla stessa capitale Kiev. In altre, come ad esempio a Kharkov, seconda città ucraina per importanza, il sindaco uscente vince al primo turno col 60% dei voti, ma alle urne è andato solo 1/3 degli elettori. La squadra presidenziale pare uscire sconfitta a Lvov, dove si annuncia un nuovo mandato per il leader di “Autoaiuto” Andrej Sadovyj. A Odessa si dovrebbe andare al ballottaggio tra un ex del Partito delle Regioni (quello dell'ex presidente Janukovič rovesciato dal golpe del 2014) e un protegé di colui che Novorossija definisce “il Gauleiter della regione di Odessa”, l'ex presidente georgiano Mikhail Saakašvili. D'altra parte, qui il “Blocco di opposizione” parla apertamente di falsificazione dei risultati, per impedire e annullare la vittoria dei propri candidati sia a livello cittadino, che regionale.
Sembrano dunque non essere state tradite le previsioni della vigilia, con il partito del primo ministro Arsenij Jatsenjuk (dato all'1% dei consensi) che ha preferito addirittura non presentare liste, sicuro com'era del crollo e la non brillante riuscita del blocco presidenziale, morso alle calcagna, quando non direttamente azzannato alla gola: a est dalla rimonta degli ex sostenitori di Janukovič, appoggiati dai simpatizzanti delle Repubbliche Popolari e a ovest dalla prevista prevalenza delle destre più oltranziste e neonaziste, che da sempre accusano Porošenko di essere un “agente del Cremlino”. Così che il presidente, già ieri, in una riunione urgente di “Solidarnost”, non ha escluso lo scioglimento di diverse organizzazioni locali del “Blocco Porošenko”, a cominciare da alcune grandi città – Kharkov e Dnepropetrovsk – in cui più plateale appare la sconfitta.
In generale, il voto si è tenuto all'ombra di una “majdan delle tariffe”, annunciata da alcuni deputati della Rada suprema, contro l'esoso aumento di prezzi sui principali prodotti di largo consumo e delle tariffe municipali: aumento che, d'altronde, Kiev ha decretato per interposta persona, essendo questo ormai il prezzo stabilito urbi et orbi da FMI e Banca Mondiale per la concessione di crediti.
E' così che, se già alla vigilia, qualcuno aveva pronosticato un “giorno del diluvio” per Porošenko, oggi anche il presidente dell'Assemblea popolare della DNR, Denis Pušilin, parla della giornata di ieri come di un “autentico crollo”. Ciò sarebbe dimostrato, ha detto Pušilin, da bassissima affluenza, innumerevoli violazioni e irregolarità, schede nulle e tanti altri episodi: “Ciò che vediamo non sono elezioni, è un insulto dello stato nei confronti del popolo. Fatti quali le bastonature dei candidati, il rinvio o l'annullamento del voto in alcune città, le macchinazioni con le schede elettorali... Tutto ciò che sta accadendo oggi, rappresenta l'ennesimo fallimento politico, il cui diretto responsabile è il capo dello Stato. Il 25 ottobre 2015 è il giorno del giudizio per Porošenko”.
A Pušilin ha fatto eco anche il presidente della LNR, Igor Plotnitskij che ha rilevato come il voto in Ucraina si sia tenuto con “volgari violazioni degli standard Osce e delle procedure democratiche. Così che le nostre elezioni si terranno secondo la legge elettorale che noi stessi vareremo secondo gli standard Osce e con la presenza degli ispettori dell'Ufficio per le Istituzioni democratiche e i diritti dell'uomo”. E' chiaro, ha detto Plotnitskij, che a Kiev “non sono in grado di scrivere buone leggi, che corrispondano alle procedure Osce, né tantomeno di attuarle. Imparino a seguire gli standard Osce e dopo insegnino agli altri”.
Il riferimento è alle elezioni locali che, nelle Repubbliche Popolari di Lugansk e Donetsk, si terranno rispettivamente a febbraio e aprile 2016: questo, non perché, come ha scritto in modo ambiguo qualche media nostrano, le precedenti date del 18 ottobre e 1 novembre siano state annullate dai leader delle repubbliche indipendentiste che le hanno rinviate al prossimo anno, bensì proprio perché quei leader hanno acconsentito alle richieste di rinvio del voto avanzate dal “Quartetto normanno” (Hollande, Merkel, Putin e Porošenko), al vertice di Parigi dello scorso 2 ottobre. Anzi, in base agli accordi del “Minsk-2”, il voto avrebbe dovuto tenersi entro il 31 dicembre 2015 e DNR e LNR lo avevano già fissato rispettivamente per il 18 ottobre e il 1 novembre. Dopo il summit parigino, DNR e LNR avevano poi prontamente annunciato di essere disposte a posticipare il voto al 2016, a condizione che, nel frattempo, Kiev attui tutte le condizioni previste dall'accordo di Minsk del febbraio scorso. Staremo a vedere se i risultati del voto ucraino di ieri influiranno, e come, sul rispetto di quelle condizioni.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento