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22/10/2015

Una metro chiamata desiderio


La metro di Roma, da un po' di tempo funziona un giorno no e l'altro neppure. Il progetto è sempre lo stesso. Una scellerata consuetudine alla quale molti, troppi, si sono rassegnati. Come ci si rassegna ad una malattia degenerativa che ci si ostina a credere inevitabile, ma che potrebbe essere facilmente evitata.

Tale progetto, ormai oleato e abitudinario, consiste nel far funzionare sempre peggio un determinato servizio pubblico, che oggi è il trasporto cittadino (metro e autobus) così come ieri erano le ferrovie, la sanità, o la scuola (ampiamente disintegrata da progressive “riforme” devastanti ispirate alle logiche dell'economia del disastro); per poi poter dire che quel servizio pubblico, scientemente accompagnato verso il fallimento secondo una strategia tanto criminale quanto precisa, in tutta evidenza, non funziona più.

A quel punto gli stessi politici, in combutta con gruppi imprenditoriali amici, impegnati faticosamente negli anni precedenti nella "strategia dello sfascio funzionale", diranno ad ogni piè sospinto su tutti i tg, i talk show e le principali testate nazionali a loro asservite, che la soluzione è privatizzare anche questo servizio pubblico, come prima è stato fatto con gli altri. Ingrediente fondamentale perché la ricetta neoliberista possa dirsi compiuta, è l'esasperazione degli utenti che, ormai per indole indisponibili a qualsiasi esercizio del pensiero, della critica e della lotta, passando sopra l'inganno costruito giorno dopo giorno sopra il loro disagio, prenderanno per buone le verità dei politici e della televisione (mi permetto di aggiungere la parola politici al verso straordinario di Faber nella "Canzone del Maggio").

Aspetteranno così questa "manna" del “privato salvatore”. Gli utenti saranno disposti a credere all'ennesima cantilena privatizzatrice, malgrado l'esperienza fallimentare constatata sulla propria pelle nelle privatizzazioni precedenti (telecomunicazioni, poste, sanità, istruzione appunto), che ormai avrebbe dovuto allertare su quanto sia inefficace e persino ossimorico, chiamare i privati ad esercitare la loro smania di business sui servizi sociali di prima necessità.

Nonostante la consapevolezza che il rimedio sia peggiore del male dunque, anzi la causa e il mandante del male stesso, tutti accetteranno sfiniti questa lisergica e sciagurata ipotesi di ultima speranza, come in ogni incantesimo che si rispetti. Da quel momento in poi cosa succederà? Migliorerà il servizio? Qual è la fine di questa strategia della morte sociale progressiva?

No, il servizio non migliorerà, anzi peggiorerà; ma sarà un peggioramento ormai non apprezzabile, perché comunque non sarà più il disastro, in quanto coloro che lo avevano provocato, avranno raggiunto il loro obiettivo, e potranno sedere su comode poltrone di consigli di amministrazione inutili, dannosi, grotteschi, ma molto, molto remunerati. Alla Mastrapasqua, per capirci. Alcuni panciuti signori dell'impresa facile (vale a dire l'impresa criminale), quella che invece di ingegnarsi nella produzione va a pescare il profitto nel bisogno degli esseri umani, nelle loro necessità inalienabili (salute, libertà di movimento, istruzione, comunicazione), dove il business è assicurato a prescindere da competizione e imprenditorialità, potranno dirsi sazi.

Avremo dieci pancioni in più, tra politici e imprenditori e cinquemila posti di lavoro in meno, un servizio di trasporto pubblico mediamente più scadente e forse (ma non è detto), qualche linea del trasporto più efficiente delle altre, ma più elitaria (con diversificazione dei prezzi del biglietto), così come è avvenuto per le ferrovie (a proposito, che tristezza aver dovuto constatare che il treno "Palatino" che in una notte arrivava direttamente a Parigi da Roma, è stato soppresso perché "improduttivo").

Qualcuno si chiederà, alla fine di questa analisi da due lire, ma come mai questo tipo ha scritto un ragionamento così banale, così evidente? Eppure non è questa la domanda che dovrebbe farsi, ma un'altra: come mai mi sono rassegnato ad accettare tutto questo? Come mai ho deciso di prendere per buone "le verità della televisione"?

P.S. Colgo l'occasione per fare i migliori auguri a Poste Italiane per il suo esordio nel fantastico mondo della Borsa. Così più bollettini di conto corrente ci faranno pagare con le tasse, più risulteremo produttivi rispetto all'universo mondo in questa nuova frontiera del fare profitto sull'inevitabile.

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