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19/10/2015

Processo a Erri: "Confermo che la Tav va sabotata"

Non è un Erri De Luca dimesso, quello che si è presentato stamattina per l'udienza finale del processo intentatogli dalla Procura di Torino. "Confermo la mia convinzione che la linea sedicente ad Alta Velocità va intralciata, impedita e sabotata per legittima difesa del suolo, dell'aria e dell'acqua".

E non si tratta di frasi concesse alla stampa (soprattutto internazionale) che affolla l'ingresso del Tribunale. Sono parole soppesate e spese davanti alla corte, in quelle che vengono chiamate "dichiarazioni spontanee", alla fine di un dibattimento, in cui "l'imputato" ha il diritto di parola in prima persona per chiarire ulteriormente la propria posizione prima che il giudice monocratico, Imacolata Iadeluca, si ritiri in camera di consiglio per decidere la sentenza.

L'imputazione immaginata dalla Procura è ormai nota: istigazione a delinquere, per quelle stesse frasi ribadite stamattina.

Il pm Antonio Rinaudo, che insieme ad Andrea Padalino ha condotto le indagini, ha chiesto una condanna a otto mesi di reclusione con le attenuanti generiche perché "con la forza delle sue parole ha sicuramente incitato a commettere reati". La coppia di magistrati è diventata famosa, in questi anni, per la pervicacia e la fantasia giuridica con cui ha perseguitato il movimento No Tav. Tanto da far pensare a molti che non si trattasse tanto di ansia di giustizia quanto di repressione politica ad hoc.

L'imputazione tocca infatti un punto politico discriminante tra democrazia e regime di polizia. Secondo i due magistrati Erri ha usato il suo potere di persuasione, come scrittore famoso, per incitare al sabotaggio. E non sono sembrati sconvolti dalla testimonianza sotto giuramento degli stessi dirigenti della Digos, che hanno riferito come - dopo che Erri aveva rilasciato l'intervista incriminata - non ci sia stato alcun aumento dei "sabotaggi" al cantiere della Tav.

Nella logica dei pm, insomma, c'è un rovesciamento classico del rapporto tra processi di contestazione sociale e opinioni, per cui se tutti tacessero non ci sarebbe alcuna contestazione. E maggiore è la notorietà della persona, più stringente dovrebbe essere questo silenzio; a meno di non mostrarsi come "supporto autorevole" delle autorità. Una logica di guerra, non giuridica, indifferente persino alla successione dei fatti: la resistenza della popolazione della Val Susa è di molti anni precedente qualsiasi dichiarazione di Erri o altri intellettuali in suo favore, come da sempre avviene nella storia.

"Sono un testimone della volontà di censura della parola, questa sentenza sarà un messaggio sulla libertà di espressione",  "questo non è un processo al sottoscritto, ma alla libertà di pensiero nel nostro Paese", ha ha infatti più volte spiegato Erri.

Il quale ha confermato che in caso di condanna non ricorrerà in appello e dunque dovrebbe a quel punto essere "tradotto in carcere" (trattandosi di uno scrittore, il doppio senso è evidente).

"I miei colleghi stranieri continuano a non capire il perché di questo processo, io sono tranquillo", ha ripetuto ancora una volta stamattina, entrando in tribunale. La sentenza dovrebbe arrivare intorno alle 13.

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