E’ ancora tutta in salita la strada per l’implementazione
dell’accordo sul nucleare iraniano. Perché, sebbene il Parlamento di
Teheran abbia approvato l’intesa con 161 voti su 290, il plico è stato
mandato al Consiglio dei Guardiani della Costituzione, organo composto
da 12 religiosi scelti per metà dalla Guida Suprema e per metà dal
Parlamento, che ha il potere di rigettare l’intesa e rimandarla al
Parlamento. E non è escluso che lo faccia.
Il Consiglio avrà il compito di appurare che l’accordo
siglato lo scorso 14 luglio dopo due anni di sforzi diplomatici sia
compatibile con la Costituzione. Ardua prova, dal momento che
non pochi – sia nel Parlamento che fuori – sostengono che sia necessario
porre dei limiti alle visite degli ispettori dell’AIEA, l’agenzia
internazionale per l’energia atomica, nei siti nucleari e militari
iraniani. Un braccio di ferro, quello sulle ispezioni negli impianti
della Repubblica Islamica, che continua anche dopo la firma dell’intesa.
E che ha portato a una precisazione nel ddl della natura e della
modalità delle suddette ispezioni.
Nel disegno di legge appena approvato dal Parlamento,
infatti, si legge che gli ispettori dell’AIEA avranno
bisogno dell’autorizzazione del Supremo Consiglio per la Sicurezza
Nazionale prima di visitare i siti militari: un
Consiglio nominato sì dal presidente, ma le cui decisioni devono sempre
ottenere l’approvazione della Guida Suprema. Un ostacolo in più per
tutti quelli che nelle cancellerie occidentali credevano si potesse
piombare a caso negli impianti di un paese sovrano senza prima dover
chiedere il permesso di visitarli. Inoltre, il disegno di legge
approvato dal Parlamento stabilisce che l’Iran dovrà riprendere le
proprie attività nucleari – ora ridimensionate dall’intesa con il 5+1 –
se le sanzioni internazionali non venissero sollevate come concordato.
Scontato, quindi, che la sessione di votazione fosse piuttosto turbolenta. Come riporta l’AP,
infatti, l’ala dura dei conservatori in Parlamento ha cercato in tutti i
modi di evitare la discussione sul ddl, dichiarando che la Guida
Suprema Ali Khamenei non sostenesse l’accordo e sollevando numerosi
interrogativi sui dettagli dell’intesa per cercare di posticipare la
votazione. A monte stanno le elezioni parlamentari del prossimo febbraio
e il tentativo di voler indebolire l’amministrazione moderata di Hassan
Rohani.
Il presidente, comunque, sembra aver vinto su tutti i fronti. Già nel
voto parlamentare preliminare di domenica, infatti, il ddl sull’accordo
di Vienna aveva avuto il via libera di 139 legislatori su 253 presenti
in aula. Stamane, le voci favorevoli sono diventate 161, a
fronte di 59 contrari, 30 astenuti e 40 assenti. Oltre ad aver incassato
a fatica uno storico accordo che mette fine all’isolamento economico
della Repubblica Islamica, Rohani è riuscito a riportare l’Iran tra gli
interlocutori di Washington in Medio Oriente, come testimonia
il recente incontro tra il segretario di Stato americano John Kerry e il
ministro degli Esteri Mohamad Javad Zarif in merito al conflitto
siriano.
Teheran, stretta tra il controllo della comunità internazionale e il
suo ritrovato spazio di primo piano nello scacchiere internazionale, si
gode l’autonomia che è riuscita a ritagliarsi: domenica scorsa ha testato un nuovo missile balistico di precisione,
missile che Israele ha subito piagnucolato sarà rivolto contro di lui. E lo ha fatto sfidando una risoluzione delle Nazioni Unite che vieta
all’Iran di sviluppare missili in grado di utilizzare una testata
nucleare.
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