di Chiara Cruciati
Un riavvicinamento quasi
d’obbligo: dopo il raffreddamento di relazioni che fino all’anno scorso
sembravano solide, Il Cairo e Riyadh hanno aperto al dialogo suggellato
ieri dalla visita di Stato del presidente egiziano al-Sisi al re saudita
Salman.
Nei comunicati ufficiali usciti dall’incontro si parla di necessità di unire
le forze per “la riconciliazione del mondo arabo e per impedire le
interferenze straniere negli affari interni della regione” e di
volontà di unire sforzi e coordinamento “per adottare una strategia
comune e inclusiva di lotta al terrorismo”. Dichiarazioni attese sulla
crisi mediorientale e araba che Riyadh ha contribuito enormemente ad
infiammare.
Ma il riavvicinamento pare dettato più da questioni
economiche che politiche. L’Egitto stenta ancora a tornare il leader del
mondo arabo, come fu in passato, e vive una profonda crisi economica
non attenuata ancora dalla scoperta di imponenti giacimenti di gas
sottomarino. Da qui la politica che ha accompagnato fin dal golpe del
luglio 2013 il presidente al-Sisi: legarsi a doppio filo all’Arabia
Saudita, sostenendo in casa la lotta della petromonarchia contro i Fratelli Musulmani e fuori mandando aerei e truppe in Yemen.
Fino allo scoglio siriano: la decisione di al-Sisi di seguire
le orme russe, discostandosi da quelle del fronte anti-Assad, hanno
mostrato le prime crepe ingigantite dall’annullamento da parte delle
corti egiziane dell’accordo di cessione delle isole Tiran e Sanafir a
Riyadh e dalla decisione saudita di interrompere la fornitura
di greggio all’Egitto, ad ottobre. L’intesa prevedeva la consegna di
700mila tonnellate di greggio raffinato ogni mese per cinque anni.
Ora i rapporti devono tornare in carreggiata, al-Sisi ne è
consapevole. Ed infatti ieri a Riyadh si è parlato, dietro le quinte,
per lo più di affari. Da rilanciare ci sono ben 24 accordi
siglati nell’aprile 2016 quando re Salman fece visita al Cairo
portandosi a casa come regalo le due isole del Mar Rosso: investimenti
per 25 miliardi di dollari nel Canale di Suez, lungo la costa, sul Mar
Rosso, in Sinai. E c’è da rilanciare l’oleodotto che, via Canale di
Suez, dovrebbe portare il petrolio saudita direttamente in Europa,
partendo dal terminal di Yanbu, sulla costa ovest dell’Arabia Saudita, e
arrivando a Sharm el-Sheikh. E passando per Tiran e Sanafir, due
isolette che non erano un mero omaggio ai sauditi: proprio da lì
dovrebbe passare la conduttura.
“Questa visita – si legge nel comunicato congiunto – è una grande
opportunità per l’inizio delle attività della compagnia Jusor al Mahaba
per sviluppare progetti sul Canale di Suez e otto progetti immobiliari
sulla costa settentrionale, oltre a quelli energetici”.
Molto di cui discutere. Re Salman lo sa e non a caso non ha
commentato l’ultima mossa egiziana sulla Siria: all’Onu Il Cairo si è
schierato di nuovo con la Russia in Consiglio di Sicurezza. Ma la visita
non è stata annullata, lo stesso Salman ha accolto all’aeroporto il
presidente egiziano e da poche settimane le forniture di greggio da
parte della compagnia di Stato Aramco verso l’Egitto sono riprese.
Le due capitali sono consce del peso esercitato sul mondo
arabo, nonostante il momento di crisi condiviso da entrambi: Il Cairo
non riesce ad uscire da una profonda crisi economica figlia di un
governo disfunzionale che ha accettato i diktat di austerity degli
istituti finanziari internazionali per sopravvivere; Riyadh sta perdendo
le guerre regionali, impantanata in quella yemenita molto costosa per
casse statali già provate dal crollo del prezzo del petrolio e in stallo
in quella siriana.
E allora si tenta la via degli affari. L’ultima notizia è di ieri: il
Fondo Arabo per lo sviluppo economico e sociale della Lega Araba
(“monopolizzata” da Riyadh) ha riconosciuto un finanziamento di 85
milioni di dollari all’Egitto per costruire un impianto fotovoltaico nel
governatore di Assuan. Produrrà 50 megawatt di energia, un aiuto
importante per l’esplosiva domanda interna di un paese in repentina
crescita demografica.
Nessun commento:
Posta un commento