Puntuale come le scadenze del fisco è arrivato l’attentato parigino
alla vigilia del voto ed è difficile pensare ad una coincidenza
accidentale. Tutto lascia intuire la volontà degli Jihadisti di “pesare”
nelle urne di domenica, in primo luogo scoraggiando l’affluenza ai
seggi in una scadenza così rilevante, coltivando quel senso di
insicurezza permanente che ormai alberga i francesi, ed in secondo luogo
favorendo qualche candidato contro gli altri. E non ci vuole molto a capire chi può avvantaggiarsi psicologicamente da questo attentato: Marine Le Pen.
Per la verità, qualche vantaggio può venire anche al rimontante
Fillon, ma credo meno: l’indeciso che vota Fillon per una cosa del
genere, potrebbe farlo sulla base di un ragionamento per cui la Le Pen è
più decisa sul tema, ma Fillon ha proposte più credibili su altro,
oppure che La Le Pen ha meno probabilità di spuntarla su Macron, per cui
la logica del “voto utile”, porta a preferirgli il gollista.
Ragionamenti elaborati e di sponda, come si vede, non facili a prevalere
sull’elettorato di massa.
Comunque, non è probabile che Fillon sia in vetta ai desideri della Jihad.
Mentre la Le Pen si, perché gli islamisti radicali vogliono lo scontro
con l’Occidente, vogliono, appunto la Jihad, la guerra santa e, per di
più la “fitna” (il caos) nell’Occidente. Una presidenza Le Pen
entrerebbe direttamente in conflitto con il mondo delle banlieu molto
più di quel che non abbia fatto Hollande e questo è quello che gli
islamisti desiderano più di ogni altra cosa. E’ il meccanismo classico
della “convergenza dei falchi” che abbiamo visto moltissime altre volte.
“C’è molta logica in questa follia” direbbe qualcuno dalle parti di
Strafford upon Avon.
Gli Jihadisti ci hanno capiti e sanno dove vogliono arrivare.
Vice versa, gli occidentali non capiscono affatto la logica politica
dei loro avversari e si muovono a tentoni facendo danni.
Sconcerta, l’inadeguatezza della risposta occidentale alla Jihad, sia sul piano politico generale, sia su quello strettamente politico-militare.
Sul piano politico generale non si capisce che la
posta in gioco è il consenso delle masse arabo-islamiche tanto in Medio Oriente quanto nelle nostre periferie ed è certo che se si affronta il
problema con guerre di invasione, affondando i barconi con i profughi,
stipando quelli che arrivano come bestie in centri come quello del Cara
di Mineo, trattando i cittadini francesi di religione islamica come
sotto uomini ammassati in orrende banlieu poi è difficile raccogliere il
loro consenso; vi pare?
Lo so che le periferie urbane islamiche sono ostili all’occidente
anche in Belgio dove le condizioni di accoglienza sono molto più
decenti, ma qui si riflettono le condizioni generali dello scontro, per
cui non basta qualche isola di accoglienza per superare il problema. Ma
qui il discorso porta ad affrontare l’ordine perduto del Medio Oriente
(a cominciare dalla ferita purulenta della questione palestinese) di cui
abbiamo detto più volte e diremo ancora.
Sul piano del contrasto militare e di intelligence la situazione è ancora più sconcertante:
al solito, la polizia francese ha annunciato che l’attentatore gli era
noto come jihadista. Benissimo, bravi! Ma se poi questo non serve a
prevenire gli attentati, a che serve saperlo? Dalla strage di Charlie,
di due anni fa, i servizi di intelligence francesi hanno incartato una
impressionante serie di insuccessi: Bataclan, Nizza eccetera eccetera.
Capisco che se uno vuol fare un attentato (e qui ne abbiamo decisamente
troppi che hanno di queste intenzioni) è molto difficile impedirglielo
se può colpire indifferentemente un qualsiasi obiettivo come i passanti
per strada. E infatti ho sempre considerato una scemenza impotente
quella di predisporre giganteschi apparati di protezione di tutti gli
obiettivi sensibili: non serve, perché siccome è impossibile proteggere
tutti gli obiettivi possibili, poi il terrorista colpirà l’obiettivo che
gli lasci sguarnito. Ma il problema non va impostato in termini
difensivi (se non per la parte indispensabile) ma offensivi.
Noi non usciremo da questa situazione se non daremo una sonora legnata agli jihadisti.
Certo: questo non basta, la partita si risolve sul piano politico, ma
anche la dimensione militare dello scontro pesa sulla partita politica e
questi la legnata se la bevono beccare. Tradotto: bisogna individuare e
distruggere le reti clandestine degli islamisti in Occidente, occorre
“bonificare” l’ambiente, nel rispetto delle norme costituzionali, ma
senza risparmiare colpi con la durezza e, se occorre, la ferocia
necessaria. Ma, per farlo, occorre avere una mappatura adeguata
dell’ambiente da bonificare e, noi, a che punto siamo con la conoscenza
del mondo avversario? A volte si ha l’impressione che gli jihadisti
hanno più infiltrati nelle nostre polizie di quanti esse ne abbiano fra
di loro.
Chiunque sia il prossimo presidente francese avrà un compito
preliminare: rivoltare la sua intelligence come un calzino, sbattere
fuori a pedate nel sedere la maggior parte dei suoi dirigente e trovare
gente di cervello al loro posto.
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