Intervista realizzata da Radio Città Aperta.
Lo spazio approfondimento di oggi è dedicato alla vicenda Alitalia. Ne parliamo con Fabrizio Tomaselli, dell'esecutivo nazionale Usb, ex dipendente dell’Alitalia, tra gli oltre 10.000 “esuberi” del 2008, ai tempi della “cordata italiana” voluta da Berlusconi.
Ciao Fabrizio, buongiorno.
Buongiorno a voi.
Facciamo un po' il punto. I lavoratori si sono pronunciati con un No decisamente netto rispetto al “piano” proposto per il salvataggio della compagnia, che ora va verso il commissariamento. Dal governo fanno sapere che non esiste nessuna possibilità di intervento pubblico, per cui la compagnia verrà venduta al miglior offerente oppure andrà incontro al fallimento. E' questa la situazione? Le cose stanno veramente così?
Il primo pezzo sicuramente sì, nel senso che il No forte dei lavoratori ha significato un No forte alla gestione decennale – ormai ventennale – dell'azienda, fatta di piani aziendali che non funzionano, sbagliati sia rispetto ai lavoratori sia industrialmente. E' stato un No secco, non è stato ambiguo o “sofferto”; è stato un No secco del personale di volo, soprattutto, ma anche del personale di terra. E’ stato un No consapevole, non è stato “di pancia”, come dice qualcuno. Perché è evidente che se tu chiedi “sacrifici” addirittura su un piano che non ha neanche un futuro credibile – e ormai i lavoratori di Alitalia sono abituati purtroppo a questi piani ogni due tre anni, che non funzionano mai – il No diventa potente perché non si vede assolutamente un futuro.
Ti interrompo solo un istante, perché magari non tutti conoscono bene la vicenda. Parliamo di un piano che non aveva realmente alcuna prospettiva, che avrebbe – qualora fosse stato approvato con il referendum – portato un risparmio per le casse di Alitalia di circa 50 milioni che, immaginiamo, sono un nulla nel bilancio di una compagnia come Alitalia…
Giusto un po' di più, nel senso che indicativamente erano 100 milioni annui, il che significa dei sacrifici enormi dal punto di vista dei lavoratori. Però, voglio dire, se un'azienda perde 500 milioni all'anno è evidente che non è che risparmiandone 100 hai un margine per sopravvivere...
Non cambia la situazione…
Esatto. Quindi è sbagliato industrialmente. Questo non lo diciamo solo noi, lo dicono anche esperti del settore, ormai. Ora è chiaro che la nostra posizione è quella della nazionalizzazione dell'azienda. Non è una posizione velleitaria, non è una richiesta “rivoluzionaria”, perché bene o male è prevista dalla Costituzione italiana, dall'art. 43 della Costituzione. Quindi è un evento, un fenomeno, un processo, che può essere applicato. Noi lo abbiamo chiesto anche per l'Ilva, per esempio... Quindi laddove ci sono aziende in crisi, o comunque aziende strategiche che potrebbero passare di mano, e quindi si potrebbero cedere degli asset sia industriali che strategici fuori dal paese, lì si può intervenire con la nazionalizzazione. Il No alla nazionalizzazione del governo, non è un No “industriale” o economico, è un No ideologico. Questo è il punto. Il governo – all'ultimo giorno, ieri, si è andato concentrando proprio sulla nostra proposta, dicendoci “no”. No alla nazionalizzazione perché l'Europa ci dice di No, perché i soldi sono già stati dati, ecc... Fin qui – ripetendo che si tratta di una posizione ideologica del governo – lo capisco pure... Nel senso che è chiaro che un governo di centro, centro-destra, centro-sinistra, non ama le nazionalizzazioni; ama solo “il mercato” e tutto quello che viene dalle liberalizzazioni. Noi non la pensiamo così. Ma al di là di questo, noi crediamo che la nazionalizzazione potrebbe rappresentare una risposta reale, concreta, sia dal punto di vista industriale sia dal punto di vista dei lavoratori. Su questo si deve misurare. Io credo che nei prossimi giorni, nelle prossime ore sicuramente si arriverà al commissariamento, ma questo non vuol dire la cessazione dell'attività; si arriverà al commissariamento e lì misureremo anche le forze politiche. Perché o le forze politiche prenderanno una posizione e assumeranno responsabilità nei confronti, non solo di 12mila lavoratori e delle loro famiglie, ma della perdita o meno di un asset industriale in più, dopo tanti che abbiamo già perso in questi decenni.
...e dopo tanti soldi che sono stati in realtà, almeno nell'ultimo decennio, investiti su Alitalia...
Ma voi pensate che se questi 8 miliardi e mezzo, di cui parlano e riparlano, fossero stai usati per rilanciare l'azienda e non per dare bende e prebende a livello politico, a livello di partiti, a livello di clientelismo, saremmo a questo punto? Questa non è una responsabilità del lavoro, questa è una responsabilità che è tutta...
...del management...
...anche dei management pubblici e – ricordiamocelo, magari, ogni tanto – qualcuno è stato anche condannato dalla magistratura proprio per reati contro l'azienda che dirigeva, quindi contro Alitalia.
Per esempio Cimoli, che fu al vertice di Alitalia nel 2004... Senti, ti volevo invece chiedere una riflessione su un aspetto della vicenda che mi ha molto incuriosito perché – come tu dicevi – il governo si è schierato in maniera netta: da Del Rio a Martina, Poletti, Calenda, tutti sono intervenuti dicendo che “la nazionalizzazione è esclusa”. Eppure Repubblica, stamattina, che sappiamo essere un quotidiano molto vicino al Partito Democratico, titola su Matteo Renzi, che invece dice che bisogna lasciare aperta qualsiasi strada, compresa quella della nazionalizzazione. Perché, secondo te, c'è questa differenza tra le posizioni quando, appunto, sappiamo essere persone molto vicine? Sembra essere come un gioco delle parti, non so come dire...
Sì, può essere un gioco delle parti, può essere una necessità politica individuale... C'è un commissariamento che potrebbe durare mesi, minimo sei. Finiti i sei mesi si dovrà capire che cosa fare. A quel punto siamo arrivati alle elezioni (febbraio, ndr). Quindi è chiaro che c'è anche una componente elettoralistica di consenso. Però c'è anche di più. Mi sembra che all'interno del Pd i malumori, rispetto al governo del Pd, si fanno sempre più accesi, soprattutto con Calenda e company. Quindi probabilmente sono anche polemiche e lotte interne in cui io non voglio entrare. Però, se c'è questa contraddizione, strumentale o meno che sia, evidentemente questo vuol dire che non stiamo dicendo baggianate. Quindi, anche dal punto di vista industriale, la nazionalizzazione, o comunque l'intervento forte, grande, pesante, dello Stato, evidentemente ci può essere ed è una opzione possibile.
Un'ultimissima cosa. Ipotizziamo uno scenario in cui Alitalia fallisce. Che cosa succede, ad esempio, ad un areoporto come quello di Fiumicino, che sappiamo dipendere in larga parte dai voli della compagnia...
E' chiaro che una cosa del genere significherebbe mettere a terra 120 aerei e circa 25-26 milioni di passeggeri in un paese turistico... Non voglio neanche pensare che cosa potrebbe dire... Chiunque facesse un'operazione del genere è un criminale, perché non significherebbe solo colpire immediatamente 20-30 mila lavoratori – tra diretti e indiretti – ma significherebbe anche colpire al cuore tutta l'attività turistica e commerciale del nostro paese... Per questo la ritengo poco plausibile. Molto più plausibile, nella loro testa, è quella del ridimensionamento pesante, un'operazione simile a quella fatta nel 2008... Quindi ridimensionamento subito attraverso il commissariamento, faccio un'altra bad company dove ci butto i debiti e gli esuberi, e infine ho un'altra compagnia “sana”. Prima erano 20 mila, poi sono diventati 12 mila e adesso magari la faccio di 6-7 mila persone. E a quel punto la vendo – magari come si dice, è plausibile – a Lufthansa. Questa è un'ipotesi. Su questo è chiaro che i lavoratori, per quello che ci riguarda, si opporranno pesantemente.
E' chiaro... Staremo a vedere. Seguiremo la vicenda, magari ci risentiremo proprio nei prossimi giorni per commentare eventuali novità. Fabrizio, intanto ti ringrazio per il tuo contributo.
Grazie a voi, arrivederci.
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