Nello spazio dedicato all’informazione parliamo del referendum in Turchia. Con noi al telefono Murat Cinar, giornalista free lance turco che lavora in Italia. Intervista realizzata da Radio Città Aperta.
Ciao Murat.
Buongiorno a tutte e tutti.
Partiamo dall’analisi di questo voto, e poi parliamo anche delle polemiche che stanno emergendo in maniera molto forte. Si può dire che il 51% con cui il Sì ha vinto sia molto inferiore rispetto a quanto si aspettava lo stesso Erdogan rispetto all’esito delle elezioni?
Tenendo in considerazione che non stiamo di fronte ad un referendum svolto legalmente e regolarmente, non possiamo dire che l’esito che ci è stato comunicato sia definitivo e quello ufficiale. Quindi, a mio parere, non siamo di fronte ad un risultato definitivo, ma siamo di fronte ad una vittoria dell’Akp o del governo o dei suoi alleati. I ricorsi sono in atto, ci vorranno ancora 10-12 giorni per ottenere l’esito definitivo, però ci sono già le relazioni degli osservatori internazionali che attirano l’attenzione sull’irregolarità nazionale che c’è stata. Probabilmente quasi 3 milioni di voto sono stati annullati ingiustamente. Questa è la prima cosa che dobbiamo tenere in mente, altrimenti daremo per vincitore il governo; e non credo che sia la conclusione giusta da fare in questo momento. E anche se non fosse stato così, possiamo dire che l’Akp teoricamente – almeno come idea resa pubblica – non si aspettava una vittoria con dei dati così poveri. Alcuni sondaggi parlavano del 60%. Il presidente della Repubblica negli ultimi interventi televisivi tranquillamente parlava di 55-60%. Diceva che una buona parte del suo elettorato, che non aveva un’idea precisa, si era convinta e avrebbe votato per il sì... Quindi si poteva tranquillamente arrivare al 60%. E non è assolutamente andata così; sia per chi ha fatto i sondaggi, sia per gli esponenti del governo.
Tu quindi ti soffermi sul fatto che stiamo parlando di un risultato che non può essere tenuto in considerazione, visto la quantità di brogli... Tu tendi a credere che tutto quello che arriva come informazione rispetto a quanto avvenuto – le schede elettorali non timbrate, le altre denunce, ecc – corrisponda tutto alla realtà?
Certo! Sin dai primi momenti della giornata referendaria abbiamo visto che numerosi volontari impiegati in diversi seggi hanno fotografato elettori che hanno esposto pubblicamente il loro voto, tra cui anche parlamentari nazionali del partito di governo. Hanno fotografato la loro scheda e hanno diffuso tutto su twitter e facebook. In certi casi si è visto che alcuni elettori si sono presentati ai seggi con le schede già timbrate. In alcuni video si vedono, evidentemente, i casi in cui i segretari dei seggi si mettono sulla sedia a timbrare uno per uno per il sì al posto dei cittadini che in quel seggio sarebbero andati a votare. Inoltre l’ente che si occupa delle elezioni ha fatto due dichiarazioni ufficiali davanti alle telecamere verso la conclusione del voto. Nella prima ha detto che in certi seggi il cittadino si è trovato ad utilizzare il timbro con la dicitura “SI”, invece come noi abbiamo fatto al consolato a Milano l’8 aprile, sul timbro doveva esserci scritto “scelta”. In un referendum dove il cittadino è chiamato a votare SI oppure NO, se si trova tra le sue mani il timbro che dice SI pensate a quanto possa essere democratico e giusto ed equilibrato lo svolgimento del voto. L’ente che si occupa dell’elezione ha detto che le schede con timbro sbagliato, errato, saranno prese come schede valide. La seconda decisione, ancora più scandalosa, contro proprio il regolamento che lo stesso ente ha creato, è una decisione senza precedenti che dice così: le schede che non hanno il timbro dietro, quindi non vidimate, quindi teoricamente non ufficiali, non legali, possono essere contate tranquillamente. La cosa più interessante è che lo stesso ente, a proposito delle schede non vidimate provenienti dai voti all’estero, le ha annullate! Ma quando si trattava delle stesse schede in Turchia, le ha accettate e il presidente dell’ente che si occupa delle elezioni ha detto che questa decisione è stata prese secondo la richiesta avanzata dai volontari, cioè gli osservatori che appartengono al partito di governo. Quindi qui siamo di fronte ad una sorta di golpe portato avanti con le mani di un ente appartenente allo stato, che ha lavorato apertamente per conto del partito al governo, perché all’ultimo momento, probabilmente, ha visto avanzare i voti del NO.
La prima considerazione che ci viene in mente, nonostante tutto, è che la vittoria è stata risicata; quindi a livello di risposta sociale ci viene da immaginare che la vera opinione del popolo turco rispetto a questa proposta referendaria fosse ampiamente No...
Assolutamente sì. Prima di tutto, anche con il pieno di brogli – nonostante i 78mila tentativi che hanno fatto, in buona parte riusciti – siamo davanti ad una situazione di grande spaccatura. Una situazione in cui il governo, ma in primis il Presidente della Repubblica, non ha un consenso popolare largo. Dobbiamo aggiungere il fatto che all’ultimo momento, nel mese di ottobre-novembre, loro abbiano dovuto invocare l’appoggio dei nazionalisti. Quindi avevano forse previsto che neanche tra i loro elettori avrebbero ottenuto abbastanza consenso. In più, bisogna specificare una cosa molto più importante di quanto abbiamo detto finora: in realtà non c’è stata una campagna elettorale democratica. La Turchia, tristemente, ora “vanta” più di 150 giornalisti in carcere, più di 120 mila persone sono sotto indagine, numerosi giudici, avvocati, professori, studenti e sindaci... e ovviamente ricordiamo che 12 parlamentari nazionali sono in carcere. La Turchia è entrata in questa fase elettorale con un periodo di stato di emergenza; quindi in diverse città le manifestazioni per il NO sono state annullate, sui canali televisivi statali il NO non ha trovato neanche mezz’ora di spazio. C’è un Presidente della Repubblica che ha utilizzato i mezzi dello stato per fare una campagna elettorale per conto suo e per conto del governo. Quindi nonostante tutta questa aggressività antidemocratica, e i metodi superviolenti, vediamo che la vittoria del governo non è così trionfale. Questo ci fa capire che l’appoggio nazionale non è così forte. Non è più come prima, per il partito Akp e per il presidente della Repubblica ora in Turchia.
Murat, una considerazione su quello che potrebbe avvenire... Tu hai detto: la spaccatura è forte, Erdogan stesso dovrebbe avere la consapevolezza di non avere un appoggio popolare così ampio da poter soddisfare le proprie ambizioni imperiali. La soluzione qual è? Quella di inasprire ancora di più la repressione, che ormai sta diventando la sua caratteristica nei confronti del suo stesso popolo? Abbiamo visto nell’ultimo anno, soprattutto, come il livello di repressione nei confronti di minoranze, opposizione, giornalisti, chiunque non si pieghi al suo progetto, sia a livelli estremi. Potrebbe addirittura peggiorare, a fronte appunto di un risultato così piccolo, così poco significativo dal punto di vista del consenso?
Le strade sono due: una, quella di continuare con la politica ufficiale del presidente della Repubblica e del suo partito, ossia aumentare la repressione, provare ad annullare a tutti i costi ogni tipo di opposizione, iniziando dalle forze democratiche nel paese fino alle voci più rivoluzionarie della nazione arrivando, ovviamente, fino agli ex alleati come il partito di Gulen. La prima scelta potrebbe essere questa. Ovviamente a me sembra che sia una sorta di suicidio, perché un paese si può tenere sotto stress fino ad un certo punto... Fin dove, non lo so, ogni paese ha le sue dinamiche interne. Ma non si potrebbe tenere sotto stress in eterno. Ora come dicevo prima, dal tentativo del colpo di stato del 15 luglio ad ora, 125 mila persone sono finite sotto indagine. Molte sono in carcere, molte non possono abbandonare il paese, altre hanno perso la cittadinanza perché non rientrano in patria, nonostante il richiamo. Alcune sono già state condannate. Per alcuni chiedono l’ergastolo; per esempio, alcuni parlamentari nazionali che rappresentano milioni di voti.
La seconda scelta potrebbe essere quella di fare dei passi indietro, cosa che in questi 17 anni il governo non ha mai fatto. Non l’ha fatto durante la rivolta del Parco Gezi, non l’ha fatto quando ha provato ad uccidere il suo vecchio alleato. Quindi... Potrebbe essere la mossa praticamente più furba rispetto alla prima, perché ormai questo presidente e questo partito hanno ottenuto la massima tutela. Ora, iniziando dalla Coste costituzionale fino alla composizione del nuovo governo, partendo dall’ente superiore dei giudici per arrivare fino al coordinamento dell’esercito, il presidente della Repubblica e il suo governo hanno potere assoluto sul sistema legislativo, amministrativo e giuridico del paese. Quindi potrebbero anche iniziare a fare passi indietro, per diminuire il livello di stress che c’è nel paese, ovviamente anche per abbassare i fari puntati, a livello internazionale, su questo progetto politico economico internazionale. Potrebbe essere una scelta leggermente più furba e a quel punto bisogna vedere quanto ci cascheranno i cittadini, perché non sarebbe comunque una mossa onesta, ma strategica.
Un’ultima domanda. E’ diverso tempo che vivi in Italia, avrai sicuramente letto come viene commentato l’esito del referendum in Turchia. Dopo oltre un anno di gravissime lesioni ad ogni principio di democrazia – arresti illegittimi, repressione, arresto di opposizione politica, arresti di giornalisti – ci si accorge che Erdogan non è esattamente un capo di stato democratico solo su questa storia del referendum. Perché? Il dubbio è: oddio, la Turchia si allontana dall’Europa. E’ ipocrisia questa, secondo te, oppure è proprio una sorta di ignoranza che tanti operatori dei mass-media purtroppo hanno nei confronti di quello che avviene a livello internazionale?
Ottima osservazione. Devo dire che in Italia, a livello giornalistico, quando si parla delle tematiche internazionali, c’è già un grande malessere. Sarà perché presso le redazioni dei grandi giornali non ci sono giornalisti stranieri? Questo è un punto interrogativo molto importante. Ora nel giornalismo italiano ci sono numerosi corrispondenti che vivono in Egitto, in Turchia oppure in altri paesi, scrivono per i media italiani ma non sanno parlare la lingua locale di quel paese. Leggono le notizie attraverso le edizioni inglese, tedesca, francese, con almeno due-tre ore di ritardo, con informazioni limitate. Questo è il problema numero uno. In secondo luogo, come nel caso palestinese, o come abbiamo visto nel caso nordafricano e quindi anche nel caso turco... purtroppo nelle redazioni quando si parla delle tematiche internazionali c’è tanta ideologia, c’è tanta espressione giornalistica mescolata con quella partitica. In effetti – e arrivo alla tua domanda – sul caso del Partito dello Sviluppo e della Giustizia (Akp), non soltanto fino al referendum, ma da 17-18 anni che si fa un errore enorme. Quando c’erano i maxiprocessi, qualcuno in Italia, anche nella stampa di sinistra, parlava tranquillamente di Erdogan come un “uomo che ha messo per la prima volta in discussione la forza e la presenza massiccia dell’esercito” nella vita della Turchia. Ora lo stesso presidente definisce quei processi come una messa in scena, guidata e realizzata dal suo ex alleato (Gulen, ndr). Quindi in Italia non è stata quasi mai fatta un’analisi corretta nei confronti della Turchia e nei confronti di questa avventura. La soluzione potrebbe passare dall’aumento dell’attenzione nei confronti delle tematiche internazionali; più si sta fermi con l’analisi sbagliata in queste tematiche, più si scopre – dopo 10-15 anni – che l’acqua bolle a 60 gradi. In più bisogna aggiungere un altro tema, ossia la percezione che abbiano noi, qua in Europa, nei confronti della Turchia o nei confronti dei nostri vicini, nel Mediterraneo. Come abbiamo visto nel caso libico, con la Turchia si cerca di costruire lo stesso rapporto, passando dalla questione degli immigrati arrivando fino alle grandi opere. La Turchia viene percepita soltanto quasi sempre un partner economico, non come un paese; e i suoi cittadini vengono percepiti come dei potenziali consumatori, ma non come dei cittadini, degli esseri umani. Questo è il problemone. Io nel mio ultimo articolo avevo scritto che il Tap, il progetto gasdotto che riguarda teoricamente solo Lecce, fa parte di un grande progetto in cui quasi il 70 % del territorio occupato appartiene alla repubblica di Turchia, quindi... L’Italia e anche altri paesi non possono pensare che Erdogan o altri sono stati catapultati dalla luna sulla Terra e quindi si possono fare tutti i danni a casa loro. I problemi della Turchia sono i problemi del Medio Oriente, del Mediterraneo e anche dell’Europa. Gli approcci politici, come “vi diamo 3 miliardi, tenetevi i rifugiati”, non sono approcci democratici. Sono approcci a base di ricatto e danno delle carte molto pericolose nelle mani di certi personaggi che un domani possono combinare dei casini senza vie di ritorno.
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