L’Arabia Saudita era e resta il Paese arabo che nel 2016 ha speso di più in armi. Non solo. Riyadh, impegnata militarmente contro i ribelli Houthi (sciiti) in Yemen, in questa poco onorevole classifica si piazza al quarto posto nel mondo con un budget per la Difesa di 62,7 miliardi di dollari (il più imponente della regione). Lo riporta l’ultimo rapporto dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri).
I Paesi arabi, in particolare quelli del Golfo, sono tra i maggiori acquirenti di aerei, carri armati, blindati, bombe – in gran parte prodotte da Stati Uniti ed Europa, inclusa l’Italia – sebbene lo scorso anno la loro spesa militare complessiva, a causa dei minori introiti per il brusco calo del prezzo del petrolio, abbia registrato un calo del 17% rispetto al 2015. Queste Nazioni, aggiungono gli studiosi svedesi, spendono in media circa il 6% del proprio Pil in armamenti, ossia quasi il triplo rispetto alla media globale (pari al 2,2%). Il sultanato dell’Oman addirittura investe il 17% del Pil nella difesa, seguito dall’Arabia Saudita con il 10%.
Nel 2016, si legge nel rapporto, sono aumentate anche le spese militari in Nord Africa con un incremento dell’1,5% rispetto al 2015, salendo così a quota 18,7 miliardi di dollari. A crescere maggiormente in tutto il continente africano è l’Algeria, del 2,3% fra il 2015 e il 2016. In calo però se paragonato al trend registrato dal Paese fra il 2007 e il 2016, dovuto anche in questo caso alla riduzione dei prezzi del petrolio. Per i Paesi dell’Africa sub-sahariana i ricercatori del Sipri invece hanno rilevato una riduzione lo scorso anno della spesa complessiva del 3,6%.
Al 15esimo posto della classifica mondiale nel 2016 risulta
Israele con un incremento del 19% tra il 2007 e il 2016, pari a 18
miliardi di dollari. Al 18esimo posto c’è la Turchia che nel periodo preso in esame ha registrato un aumento del 9,7% portando il budget per la difesa a 14,8 miliardi di dollari.
I dati turchi, avvertono gli studiosi, sono incompleti e più difficili
da reperire dopo il tentato golpe del luglio 2016 al quale il regime del
presidente Erdogan ha reagito con una dura campagna di repressione
interna.
Il rapporto rileva infine come lo scorso anno la spesa
complessiva mondiale nel campo della difesa sia aumentata – per il
secondo anno consecutivo – di ben 1.686 miliardi di dollari.
Risorse enormi che vengono sottratte al benessere delle popolazioni dei
singoli Paesi e all’aiuto di centinaia di milioni di esseri umani che
vivono in condizioni disperate.
Il business delle armi tocca anche il nostro Paese, e non poco. L’Ufficio studi della Cgia di Mestre riferisce che tra
il 2010 e il 2014, l’Italia ha autorizzato esportazioni nell’Africa
settentrionale e nel Medio Oriente per 4,8 miliardi di euro di materiale
bellico, una cifra pari al 27,8% del totale delle nostre esportazioni
in questa parte del mondo. Nei cinque anni presi in esame dalla Cgia le
industrie belliche italiane hanno esportato armamenti per 17,47
miliardi di euro: di questi 4,85 miliardi all’Africa settentrionale e
nel Medio Oriente (27,8%). Il primo acquirente delle “nostre” armi è l’Algeria: tra il 2010 e il 2014 ne ha comprate per 1,37 miliardi di euro. Seguono l’Arabia Saudita (1,3 miliardi di euro) e gli Emirati Arabi Uniti (1,06 miliardi di euro). Le vendite in questi tre Paesi costituiscono il 77,2% del totale delle esportazioni autorizzate in quest’area.
L’Italia vende in più categorie: armi o sistemi d’aria, munizioni, bombe, siluri, missili, apparecchiature per la direzione del tiro, veicoli terrestri, agenti tossici, esplosivi e combustibili militari, navi da guerra, aeromobili e software.
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