di Francesca La Bella
Attesa per l’inizio del
prossimo anno, ma più probabilmente rinviata al 2019, la quotazione
sulla borsa di Wall Street della compagnia petrolifera di Stato Aramco
dovrebbe superare la soglia dei 2mila miliardi di dollari, una delle più
alte capitalizzazioni di sempre.
Nonostante il rinvio dell’operazione, dovuto alla necessità di
ristrutturazione della governance della società per andare incontro alle
necessità di trasparenza e sicurezza delle informazioni del mercato
mondiale, la prospettiva di cambiamento strutturale prevista
dalla capitalizzazione sembra dare fin da ora i primi frutti. È di pochi
giorni fa, infatti, la notizia dell’interessamento cinese
all’operazione.
Secondo quanto riportato dall’agenzia Reuters, dopo gli ingenti investimenti in Libia ed in particolare nell’area di Tobruk, Pechino
sarebbe capofila di un consorzio formato da banche, compagnie
petrolifere, con il coinvolgimento del fondo sovrano cinese, che agisca
come investitore di primo piano nell’iniziale offerta di
capitalizzazione di Aramco. Un investimento di ampio respiro
che collegherebbe in maniera indissolubile il settore petrolifero
saudita con il mondo finanziario cinese in un legame di interdipendenza
di forte impatto sui mercati mondiali.
Il valore finanziario di questa azione, già di per sé particolarmente
significativo, è, però, da considerarsi marginale rispetto al possibile
impatto economico e politico, nazionale ed internazionale, di questa
scelta.
Da un lato l’operazione è sintomo della necessità di Riyadh
di rivedere i propri asset e di operare una diversificazione
dell’economia interna che permetta al gigante saudita di reggere le
continue fluttuazioni del prezzo e delle riserve di petrolio.
In questo senso, l’apertura ai capitali stranieri permetterebbe alla
casa regnante di abbassare la percentuale di dipendenza delle casse
statali dai proventi petroliferi, attualmente intorno all’87%, trovando
fondi per investire sia nel settore infrastrutturale sia nelle energie
alternative.
Parallelamente alla proposta di capitalizzazione, infatti, navigando sul sito ufficiale di Aramco, si
può notare come la compagnia stia operando una revisione delle proprie
linee di intervento andando ad integrarsi nel generale processo di
reindirizzamento strutturale a favore di green economy ed energie da
fonti rinnovabili. Quest’ultimo aspetto non è, però, una
peculiarità della sola Aramco. Rientra, invece, nel più ampio contesto
del progetto Saudi Vision 2030, presentato lo scorso anno e avviato in
parallelo con le discussioni per il blocco dell’estrazione petrolifera
in sede OPEC, che presenta le possibilità e la programmazione nazionale
in un’ottica post-petrolifera.
Dall’altro, la stretta dipendenza tra la famiglia regnante e
la prima fonte di reddito del paese rende la capitalizzazione una spia
della necessità della monarchia di rivedere le proprie strategie per
mantenere un buon grado di solidità economica in una fase di crescente difficoltà dal punto di vista politico.
Le ingenti spese nel comparto bellico e la crescente
disoccupazione nel paese, collegandosi con le più ampie questioni
geopolitiche d’area, hanno generato scontento nella popolazione saudita,
rendendo necessari piani di rilancio economici che possano mitigare il
potenziale di mobilitazione delle pur deboli opposizioni.
L’indissolubile legame tra Aramco e casa regnante può, però,
costituire anche un grave problema: in caso di modifica della dirigenza o
di perdita di legittimità della stessa, il progetto potrebbe risultarne
indebolito.
Questo aspetto, ben descritto in una dettagliata analisi di Middle East Eye,
è di capitale importanza in quanto l’attuale strategia di riforma è
strettamente associata a Mohammed bin Salman ed alcuni elementi di
spicco del suo entourage. Se il principe e ministro della Difesa non
dovesse riuscire a mantenere la propria posizione di rilievo all’interno
del governo ed altre forze dovessero prendere il sopravvento, tutto il
processo di rinnovamento economico potrebbe essere messo in dubbio.
Fonte
La tara delle privatizzazioni non risparmia nemmeno gli sceicchi in odore di jihadismo.
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