Qualche polemica ha suscitato una recente dichiarazione di Beppe Grillo nella quale proponeva di
eliminare (in qualche modo) le confederazioni sindacali, dando molto
più spazio alla contrattazione aziendale direttamente controllata dai
lavoratori e, più o meno, sulla stessa lunghezza d’onda si è detto
Giorgio Cremaschi, già autorevole esponente Fiom. Poi è venuta la
consultazione sul programma con la proposta (approvata
plebiscitariamente) di eliminare il privilegio per le organizzazioni
sindacali firmatarie di contratto, uniche a poter presentare candidati
per le rappresentanze sindacali aziendali.
Dico subito di essere largamente d’accordo con queste posizioni che sostengo,
per la verità da trenta anni e passa, da quando ero un giovane
dirigente sindacale sulla via dell’uscita, non condividendo la crescente
involuzione buricratica del sindacato. Subito dopo gli anni del grande
conflitto il sindacato venne letteralmente subissato di denaro,
disposizioni di favore, concessioni e privilegi per i suoi quadri che ne
cambiarono la natura. Nei primi anni ottanta feci uno studio
sull’organizzazione sindacale scoprendo che le tre confederazioni
assommavano oltre 130.000 operatori professionali (fra funzionari,
distacchi, permessi sindacali continuati, dipendenti dei patronati e di
altri organismi collaterali), occupavano 26.000 seggi nei consigli di
amministrazione di enti pubblici (dall’Inps ai conservatori, dall’Inail
agli enti di formazione professionale), disponevano di circa 80.000 sedi
con oltre 35.000 linee telefoniche. Mettendo tutto insieme, usciva una
città più grande di Brindisi o di Novara. Quello che era stato il
sindacato più combattivo d’Europa diventava uno dei più massicci
apparati burocratici di Occidente e la pratica della concertazione
triangolare (Governo, Confindustria, sindacati) ne faceva uno dei
principali pilastri del sistema.
Dopo, la crisi della Prima Repubblica e l’ondata neoliberista
che spazzava via il welfare, il sindacato ne uscì ridimensionato,
nonostante fosse stato pietosamente risparmiato dalle inchieste di Mani
Pulite che, pure, avrebbero avuto abbondante materia di indagine. Dopo
di che il sindacato è sempre andato più perdendo ruolo politico e
sociale. La contrattazione nazionale è andata via via deperendo, quella
aziendale si è ridotta alle isole in cui essa è ancora possibile, sul
piano generale non si ricorda una proposta di riforma avanzata dal
sindacato da almeno 25 anni. A parte la Fiom che ha tentato di mantenere
una dimensione conflittuale e di contrasto ai diktat neoliberisti (e
che, non a caso, è discriminata tanto fuori quanto dentro la sua
confederazione) il sindacato si è ridotto ad un carrozzone di burocrati
nullafacenti e strapagati: una ulteriore ed indebita tassa sul lavoro.
Privo della sua dimensione propriamente conflittuale, il sindacato non ha più niente da dire:
non abbiamo registrato una sola proposta degna di questo nome per
fronteggiare la crisi, non un tentativo di promuovere una convergenza
almeno europea e, per il resto, Cisl e Uil si sono spalmate ai piedi dei
governi di turno tutte comprese del loro ruolo servile, mentre la Cgil
ha avuto qualche rara impennata (in coincidenza con i governi di centro
destra e solo di recente nei confronti del governo Renzi) ma, in genere,
non è andata molto al di là di qualche impotente mugugno. Ed anche
dalla Cgil zero proposte sulla crisi. Nel complesso, si è determinata
una situazione di monopolio anomalo, per cui la rappresentanza sindacale passa a Cgil, Cisl e Uil non si capisce in nome di quale disposizione
costituzionale o di legge. Se il criterio è quello del numero degli
iscritti, facciamo presente che:
a. se il criterio dei tesserati è qualificante ai fini della
rappresentatività, occorrerebbe che le iscrizioni fossero certificate da
un organismo terzo e non stabilite sulla base di dichiarazioni di parte e,
intento, sarebbe utile una severa verifica su tesseramenti che appaiono
clamorosamente gonfiati;
b. la maggior parte degli iscritti alle tre confederazioni sono
pensionati (la cui adesione, peraltro, è carpita dal patronato al
momento di istruire la pratica di pensione) e, se è giusto che i
pensionati abbiano la loro rappresentanza, non si capisce perché questo
poi debba riflettersi sulla rappresentanza dei lavoratori attivi;
c. che è la posizione di privilegio dei sindacati esistenti a
spingere i lavoratori ad iscriversi a Cgil, Cisl e Uil, per cui si
determina una sorta di circolo vizioso per cui la posizione di predominio genera tesseramento che a sua volta garantisce il riprodursi
della condizione di predominio.
E questo blinda il carrozzone sindacale impedendo ogni verifica reale
sulla sua rappresentatività, ma noi, che ce ne facciamo di un sindacato
così? Sin qui è stato una sorta di tabù per cui nessuno osava sollevare
la questione di questo ingombrante ed inutilissimo totem. Lode a Grillo
ed al M5s per aver rotto questo incanto ed aver aperto la questione.
Tuttavia, se siamo perfettamente d’accordo sulle linee generali della
discussione impostata da Grillo, poi dobbiamo approfondire l’argomento,
dato che la contrattazione aziendale non risolve tutti i problemi, anche
perché nella maggior parte delle aziende non esiste alcuna
contrattazione. Non possiamo rinunciare ad una ripresa della
contrattazione nazionale. Questo però impone che ci siano sindacati
realmente democratici, con gruppi dirigenti realmente espressione dei
lavoratori (cosa semplicemente inesistente oggi). Ad esempio, visto che
l’articolo 39 della Costituzione parla di obbligo di registrazione dei
sindacati con ordinamento interno a base democratica, perché non
pensiamo ad una legge quadro che stabilisca quali siano le
caratteristiche necessarie di un ordinamento democratico in un
sindacato? Avrei molte idee carine da proporre in merito. Vi assicuro:
mi divertirei molto...
Fonte
Tutto corretto, però ogni tanto qualcuno l'usb potrebbe ricordarselo...
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