di Michele Giorgio
Ai posti di blocco
israeliani intorno alle città palestinesi e a Gerusalemme est, i
manifestanti ieri hanno trovato soldati in assetto antisommossa, pronti a
rispondere al “Giorno della rabbia” proclamato dal
partito Fatah a sostegno dello sciopero della fame che da 12 giorni
osservano oltre 1500 palestinesi nelle carceri israeliane. I
feriti tra i dimostranti sono stati decine, alcuni da proiettili veri.
Gli scontri più seri sono divampati davanti alla prigione di Ofer, a
Betlemme, Betunia, Qalandiya, a Silwad, Tequa, Nablus, Hebron e altre
località della Cisgiordania. Spiccavano i poster con l’immagine di Marwan Barghouti,
il segretario generale di Fatah, incarcerato con cinque ergastoli in
Israele e messo in isolamento perché promotore dello sciopero della
fame.
Contro le previsioni di molti, in Israele e anche tra i palestinesi, lo sciopero della fame va avanti.
Accusato da non pochi nel suo partito di cercare, attraverso questa
protesta, visibilità e potere, boicottato dal movimento islamico Hamas
che ha ordinato ai suoi militanti in carcere di non aderire allo
sciopero organizzato dai rivali di Fatah, descritto come un “terrorista
sanguinario” da Israele, Barghouti ha dimostrato di poter ancora accendere le strade della Cisgiordania. Proprio come fu in grado di fare prima e durante la Seconda Intifada (2000), quando a capo di Tandhim, l’organizzazione di base di Fatah, guidò la protesta palestinese contro gli accordi di Oslo, Israele e anche l’Anp.
È la prima volta dai giorni della Seconda Intifada che Fatah rivolge un
appello alla popolazione a «cercare lo scontro» con i soldati. Una
novità che ha messo in allarme i comandi militari israeliani e
spinto l’Autorità nazionale palestinese (Anp) a schierare centinaia di
agenti di polizia nei punti più caldi per impedire l’escalation degli
scontri.
Quella di ieri è stata una prova generale dell’iniziativa
popolare che le correnti di Fatah legate a Barghouti stanno organizzando
per il prossimo 3 maggio in Piazza Mandela a Ramallah, proprio nel
giorno in cui il presidente dell’Anp Abu Mazen incontrerà alla Casa
Bianca Donald Trump. Un raduno, si prevede, di migliaia di
palestinesi che potrebbe mettere in imbarazzo un Abu Mazen che vuole
presentarsi da Trump come un leader che controlla la situazione e
implacabile con dissidenti e avversari politici come dimostra il braccio
di ferro che ha avviato con il movimento islamico Hamas a Gaza.
Ambizioni velleitarie quelle del presidente palestinese. Abu
Mazen resta un leader debole non in grado di influenzare in alcun modo
le decisioni di Israele. Il governo Netanyahu fa ciò che vuole. Ha
appena fatto sapere, attraverso il ministro dell’edilizia Yoav Galant,
di voler costruire 15.000 nuove case a Gerusalemme est, il settore
palestinese della città che Israele ha occupato 50 anni fa.
«Costruiremo 10mila unità a Gerusalemme (Ovest, la zona ebraica) e circa
15mila nei confini municipali della città (a Est)», ha spiegato Galant.
L’annuncio potrebbe essere fatto nel “Giorno di Gerusalemme”, il 24 maggio, due giorni dopo l’arrivo di Trump in Israele.
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