Mahmoud Ahmadinejad, ex sindaco di Teheran e presidente dell’Iran dal
2005 al 2013, non potrà partecipare alle prossime elezioni
presidenziali. Ad escluderlo dalla corsa è stato ieri il Consiglio dei
Guardiani che ha invece accettato la candidatura dell’attuale
presidente, il moderato Hassan Rouhani.
Ad un mese dalle elezioni il dibattito è dunque già entrato nel vivo e nell’occhio del ciclone finisce l’Ayatollah Khamenei, leader supremo della Repubblica Islamica, che aveva
già espresso la sua contrarietà alla candidatura di Ahmadinejad perché
la considerava pericolosa per la tenuta di un paese già polarizzato. L’ex
presidente, da parte sua, aveva proseguito per la sua strada,
sfidando apertamente la guida suprema soprattutto dopo aver negato per mesi di
volersi candidare.
Ora, con la sua esclusione, tutti guardano a Khamanei, come longa
manus responsabile dell’esclusione vista l’influenza esercitata sul
Consiglio (è l’Ayatollah che ne nomina la metà dei membri). Non se ne
conoscono le ragioni: di certo si sa delle oltre 1.600 candidature, solo
sei ne sono state accolte. L’uscente Rouhani, l’ultraconservatore ed ex
ministro della Cultura negli anni ’90 Mostafa Aqa-Mirsalim, Es’haq
Jahangiri, il giudice conservatore Ebrahim Raeisi, il sindaco di Teheran
e veterano delle Guardie Rivoluzionarie Mohammad-Baqer Qalibaf e
Mostafa Hashemi-Taba, ex ministro dell’Industria e capo del Comitato
Olimpico.
L’esclusione arriva a meno di un mese dal voto: le urne si
apriranno il 19 maggio e la campagna elettorale partirà il 28 aprile. In
realtà di campagna elettorale si può già parlare, un percorso
accidentato su cui pesa il ruolo della nuova amministrazione Usa del
presidente Trump.
Sarebbe proprio l’interventismo statunitense in Medio Oriente, si vocifera, la ragione dietro la decisione di Ahmadinejad di ricandidarsi.
Con Trump che attacca la Siria e minaccia l’accordo sul nucleare
iraniano (continue giravolte, annunci e smentite che paiono dirette più a
rassicurare gli alleati regionali e a tenere sotto pressione Teheran
che a voler aprire un nuovo fronte) il fronte conservatore si sente più
forte: l’attuale presidente Rouhani ha fondato il suo mandato e buona
parte del consenso ricevuto sull’intesa sul nucleare civile e la fine
dell’isolamento del paese nel mondo. Sull’apertura dell’economia
iraniana a quella globale e dunque ad un miglioramento delle condizioni
di vita della popolazione.
Un obiettivo non facile da raggiungere e che si scontra con
le lentezze di un processo complesso, seppure grandi potenze mondiali
abbiano già inviato aziende e compagnie a Teheran per nuovi lucrosi
business. Non tante come si aspettavano gli iraniani, un numero limitato
che non ha per ora inciso sul tasso di disoccupazione e sul Pil,
la cui crescita è limitata dal basso prezzo del petrolio. La giustizia
sociale che Rouhani aveva promesso è ancora una chimera, il consenso
verso il presidente moderato si è ridotto mentre aumentano le manifestazioni di protesta per le condizioni economiche e il lavoro.
A nessuno, però, neppure ai conservatori, sembrava Ahmadinejad la soluzione: non
sono stati pochi, anche personaggi molto vicini all’ex presidente,
quelli che hanno interpretato la sua candidatura a sorpresa come una
sfida al Leader Supremo e dunque non sostenibile. E ora arriva
la squalifica, un atto che potrebbe pacificare la situazione o, al
contrario, infiammarla se sarà letta come un’intromissione palese di
Khamenei nel gioco elettorale.
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