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23/04/2017

Schiavitù

Per la prima volta in TV si è sentito parlare di “ritorno alla schiavitù”. Merito di Giorgio Cremaschi che osato pronunciare questa fatidica affermazione invocando un bilancio serio e realistico di ciò che è accaduto nel corso degli ultimi decenni nel mondo del lavoro in Italia e fuori d’Italia, ma particolarmente e specialmente in Italia.

Sono stati distrutti quelli che possono essere definiti i “pilastri del sindacato”: contrattazione, adeguamento dei salari, possibilità di espressione diretta della rappresentanza dei lavoratori.

Ma questi punti non riguardano tanto e solo il “Sindacato” quale ente astratto, ma riguardano i lavoratori, la loro condizione materiale, la loro dignità fuori e dentro i posti di lavoro in tutte le condizioni, nell’industria, nell’impiego pubblico e privato, nei servizi, nei trasporti.

Non si fa in questa sede, per ovvie ragioni, la storia di queste drammatiche vicende, dell’assenza progressiva di capacità di conflitto, della costanza della mediazione al ribasso avviata attraverso la subalternità ad un presunto meccanismo di concertazione e di rapporto più o meno mediato con governi erroneamente presunti come “amici”.

E’ sufficiente concentrarsi sulla frase “ritorno alla schiavitù” per cercare di comprendere la necessità di stabilire nuovi punti di partenza per il conflitto sociale e sulla necessità di organizzazione che ne deriva.

Tutto il contrario, naturalmente, della “disintermediazione” propugnata ormai da quasi tutti i soggetti presenti nel sistema politico italiano e dell’acquiescenza ai diktat europei.

Una situazione drammatica su diversi versanti, anche su quelli meno dibattuti come quello riguardante il ruolo della donna ancora del tutto soffocato, il rapporto tra lavoro e ambiente ancora del tutto irrisolto, il precariato di dimensioni sempre più imponenti.

Il grido “ritorno alla schiavitù” appare come concreto e realistico e deve essere raccolto come punto di consapevolezza della tragedia in atto e affrontato con le armi che stiamo cercando di evocare (e che sono progressivamente mancate nel corso degli anni): il conflitto e l’organizzazione, partendo dalla base dei lavoratori e della loro capacità di espressione diretta di lotta.

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