C’è una piccola ma significativa notizia nella vicenda di Alitalia e del referendum perso da padroni e sindacati confederali lunedì scorso: l’intervista rilasciata ieri dal segretario della Cgil – Susanna Camusso – al Corriere della Sera svela un modo, e un mondo, completamente adagiato alle retoriche padronali, definitivamente incapace di relazionarsi a quel mondo del lavoro che pure si vorrebbe rappresentare. Non è un caso che i sindacati confederali abbiano le proprie referenze sociali tra i pensionati e i settori ultra-garantiti del lavoro pubblico: perché sono morti. Dice la Camusso: «No alla nazionalizzazione di Alitalia», inserendosi così nel profluvio di retorica liberista che si chiede «perché 10mila lavoratori devono decidere del destino dell’intera comunità nazionale?». Eh già, perché mai dei lavoratori (di un’azienda privata, peraltro!) dovrebbero decidere sul loro destino, nell’ennesimo fallimento manageriale ripagato con le tasche di quegli stessi lavoratori? Questo il livello del dibattito economico in Italia, ma la Camusso raggiunge comunque vette sconsiderate anche per questi tempi tristi. Un sindacato contrario alla pubblicizzazione di un’azienda è una contraddizione in termini. Dovrebbe essere la richiesta minima a prescindere dalle posizioni sindacali, o politiche, rappresentate. E’ una richiesta che si iscrive nel solco stesso dell’attività sindacale, quella per cui nei settori strategici dell’economia lo Stato abbia voce in capitolo e proprietà pubblica, contribuendo così anche alle garanzie contrattuali dei dipendenti. E invece la Camusso si premura dal prendere le distanze, dal puntualizzare, dal negare qualsiasi approccio “statalista”, perché, come si sente ripetere ad ogni piè sospinto in questi giorni, «lo Stato in quarant’anni ha già versato nelle casse di Alitalia 7,5 miliardi di euro». E grazie al cazzo. Alitalia è stata per cinquant’anni un’azienda pubblica: chi altri doveva investire capitale pubblico se non lo Stato? Di più: a cosa servono le tasse se non hanno l’obiettivo di sostenere quei servizi considerati fondamentali, e tra i quali rientra a pieno diritto il trasporto pubblico, compreso quello aereo? Domande inconciliabili con lo spirito dei tempi. Ma questo, d’altronde già pessimo di suo, è restituito in tutta la sua dimensione reazionaria proprio dalla Camusso, dirigente “del più importante sindacato italiano”, che lotta al fianco della privatizzazione dell’azienda e contro la sua ventilata nazionalizzazione.
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