Una notizia passata quasi in sordina, ma piuttosto significativa
soprattutto alla luce della devastazione che oggi, a 14 anni
dall’invasione anglo-americana dell’Iraq, sta ancora flagellando il
paese mediorientale.
Tre giorni fa il Guardian ha riportato le intenzioni del
procuratore generale della Gran Bretagna, Jeremy Wright, principale
consigliere legale del governo di Londra: Wright intenderebbe
intervenire nel caso del rapporto Chilcot chiedendo l’annullamento
dell’inchiesta sull’allora premier Tony Blair. Bloccare il procedimento,
dunque, per impedire che Blair sia perseguito per le decisioni prese
nel 2003. Insieme all’ex primo ministro rischiano il processo
anche l’allora segretario agli Esteri Straw e Lord Goldsmith, all’epoca
procuratore generale.
Sul tavolo sta il crimine di “aggressione”, accusa fondata sui risultati della commissione Chilcot, pubblicati nel luglio 2016. Per
il procuratore Wright il processo non s’ha da fare. Dalla sua ha la
sentenza di un tribunale del novembre 2016 che invita a non proseguire
con l’inchiesta perché il reato contestato – “aggressione”, appunto –
non esiste nella legislazione inglese. “Le basi su cui si fonda
l’intervento giudiziario sono senza speranza – ha detto Wright – Il
crimine di aggressione non è parte della legge britannica”.
Eppure qualcosa, scavando c’è: fu proprio l’allora
procuratore generale Goldsmith, ora indagato, a pubblicare un memorandum
sulla legalità della guerra contro l’Iraq: “L’aggressione – scrisse – è
un crimine previsto dal diritto internazionale che automaticamente è
parte della legge nazionale”.
Al di là delle procedure legali, resta l’eredità politica di
quell’attacco, da tempo tornato alla ribalta dopo che le famiglie di
alcuni soldati britannici morti in Iraq hanno fatto appello
all’incriminazione di Tony Blair. A dare il quadro è stato proprio il
rapporto Chilcot, atteso per anni e finalmente reso pubblico a luglio: presupposti
sbagliati, mancata comprensione della situazione reale, strategia
incoerente, le accuse mosse a Blair dal rapporto sono state riprese in
pieno a settembre dalla Commissione Esteri del parlamento britannico.
Dopo sette anni di indagini, il rapporto Chilcot ha lasciato nudo
l’ex premier Tony Blair, insieme al “capo missione” George W. Bush.
Errori gravissimi figli della volontà di andare in guerra a prescindere e
oggi alla base dell’instabilità dell’Iraq, preda di settarismi interni,
corruzione strutturale, divisione etnica e confessionale, occupazione
Isis.
Errori ma anche menzogne: secondo la commissione Blair,
insieme a Bush, imbastì un castello di carte per giustificare l’attacco a
Saddam Hussein, iniziando una guerra “avventata” e senza alcuna base nel diritto internazionale.
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