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19/04/2017

Agente inglese infiltrato tra i black bloc a Genova 2001. Una lunga storia...

Un’altra storia, un’altra prova, un altro segnale. Solo delle teste di teflon possono evitare, alla lunga, di interrogarsi su quantità, ruolo, specializzazione degli agenti del potere infiltrati nei movimenti e nelle organizzazioni antagoniste.

L’episodio rivelato in questi giorni, a partire dal britannico The Guardian, è relativo ad un agente inglese infiltrato tra i black bloc in azione a Genova, nel luglio 2001. In particolare, attivo nell’attacco sferrato in Corso Italia, da cui presero il via tre giorni di scontri, pestaggi indiscriminati, montature (la Diaz, perdio!), torture riconosciute come tali da tutte le magistrature del continente.

Pubblichiamo qui sotto uno degli articoli che riferiscono nei dettagli la notizia, mentre a noi sembra più importante soffermarsi sul quadro sistemico che tiene insieme e spiega i dettagli.

Una prima osservazione: togliamoci dalla testa che tutta la galassia “diffusa” che passa sotto il nome giornalistico di black bloc sia fatta di poliziotti infiltrati. Questa è un’idiozia buona per chi, non avendo nozione della complessità del conflitto reale, si rifugia in pseudo spiegazioni complottarde stile vecchio Pci anni ‘70.

Ma gli infiltrati ci sono. Anzi, come illumina proprio la vicenda dell’agente inglese (immortalato nella foto d'apertura, in quel di Genova), fanno parte di una strategia politica e militare (non sottostimate il secondo termine, please) internazionale che ha mirato a soffocare un movimento internazionale, quello cosiddetto “No global”, a cavallo del passaggio di millennio. E’ utile ricordare che allora ogni vertice dei potenti (dal Wto al G8) veniva accompagnato da contestazioni di massa, che seguirono un andamento crescente nelle dimensioni della partecipazione, nonostante si concludessero spesso in scontri più o meno violenti, a seconda delle abitudini della polizia nel paese ospitante. E vale dunque la pena sottolineare come quella escalation – un mese prima di Genova 2001 – era culminata negli scontri di Goteborg, nella civilissima Svezia, dove comunque un poliziotto aveva aperto il fuoco ferendo gravemente due manifestanti. A Carlo Giuliani andò peggio, come sappiamo per esperienza diretta, ma la via era stata tracciata ben prima.

Sarà un caso, ma dopo Genova – dopo un omicidio in diretta, ferimenti, pestaggi e torture di massa (l’Italia poliziesca è assai meno civile della Svezia, e in quel caso superò probabilmente anche ogni limite prefissato, lasciando al libero arbitrio degli sbirri il livello di repressione possibile) – il movimento No global ripiegò abbastanza velocemente. Accade spesso nella storia che un movimento in fondo democratico e ben poco “rivoluzionario” sia disperso grazie a una dose di violenza poliziesca anche di poco superiore alle sue capacità di sopportazione.

Sta di fatto che a Genova, come tutti i giorni in questo paese, gli agenti infiltrati c’erano e ci sono. Come Contropiano ci siamo occupati più volte d'informare i lettori di episodi specifici, oppure anche di “elaborazioni teoriche” partorite dai servizi italiani. Dunque non siamo affatto stupiti delle “rivelazioni” che escono di tanto in tanto. Ci stupisce semmai la pressoché assoluta assenza di precauzioni esistenti in larghissime aree di movimento e nelle organizzazioni politiche o sociali esistenti.

Proprio il caso del presunto Rod Richardson dovrebbe aiutare a capire come funziona la testa del potere repressivo, anche se – trattandosi di un episodio di 16 anni fa – le tecniche si saranno ulteriormente affinate. All’agente “Rod” era stata attribuita l’identità fittizia di un bambino morto alla nascita. Una precauzione addirittura esagerata rispetto allo scopo (infiltrarsi negli ambienti anarchici), ma che restituisce appunto il senso della “valenza strategica” attribuita a questo tipo di operazioni.

Ancora più interessanti sono i comportamenti assunti da “Rod” dentro il gruppo che l’ha accettato: particolarmente «sprezzante nel violare la legge e affrontare i poliziotti» negli scontri di piazza. In effetti, con la certezza di non poter essere perseguiti, arrestati, indagati, ecc, è relativamente facile “estremizzare” l’uso delle mani; e quand’anche, per un difetto di comunicazione, si fosse trovato circondato da poliziotti imbestialiti, avrebbe sempre potuto ricorre a parole d’ordine e altri segnali che lo qualificavano come agente della “squadra politica” (i tesserini con la foto sono rimasti solo sui telefilm, ormai).

Diciamola in altro modo: condividere la quotidianità è il segreto di Pulcinella per qualsiasi infiltrato. Fare come tutti gli altri, “più convinto” di tutti gli altri, è il miglior modo di essere apprezzato e stornare i sospetti. Nel caso di gruppi anarchici poco amanti delle forme organizzative, un simile “lavoro” può essere anche più facile ("un amico ha ricordato ai media britannici di una serata al karaoke in cui si scatenò cantando “Firestarter” dei Prodigy"), ma non ci sembra che nelle organizzazioni comuniste degli ultimi 30 anni – quelle spianate dal bertinottismo o dal “negrismo” (nel senso di Toni) – ci sia una capacità maggiore di non farsi prendere per il naso. Anche quando si scoprono gli infiltrati si devono fare comunque i conti con statuti organizzativi da bocciofila e non si cava un ragno dal buco.

Nel caso di “Rod” stiamo comunque parlando di un agente “operativo su strada”, che non ha grandi compiti politici (il “blackblocchismo” appare dall’esterno più un sentiment che non un progetto di qualche spessore). Un problema e un pericolo in qualsiasi manifestazione, ovviamente, perché basta davvero poco ad offrire il pretesto alle varie polizie per scatenare i manganelli. In altri tempi, con altri rapporti di forza sociali e politici, le cose andavano diversamente; c’erano servizi d’ordine che difendevano il corteo da provocazioni o attacchi e, contemporaneamente, erano pronti a passare all’offensiva. Oggi un corteo è un bersaglio quasi inerme, usato come “nascondiglio” da chi ha tutt’altro per la testa, e come obiettivo grosso da parte di un potere che mai ha visto con favore l’espressione del dissenso nelle piazze.

Diciamo insomma che quelli come “Rod” sono infiltrati “a bassa professionalità”, che esauriscono il proprio compito dando fuoco a una macchina o paccottiglia di livello simile, oltre che qualche anticipazione sugli "appuntamenti" in programma.

Ma l’infiltrazione vera, in questo millennio, ha ben altro raggio, obiettivi, strumenti. Del resto, “infiltrare per sapere” chi sono o cosa pensano gli attivisti di un gruppo o un partito non ha più molto senso. A schedarsi provvedono autonomamente quegli stessi attivisti usando i social network (non è una battuta: il pacchetto dei profili Facebook dei partecipanti al movimento Occupy Wall Street era stato quotato a 15 milioni di dollari per l’utilizzo commerciale, non si conosce invece il prezzo pagato da Fbi e Cia).

L’infiltrato del nuovo millennio è definito – dagli stessi servizi segreti – un “agente di influenza”. Ossia un agente che deve indirizzare il corpo politico-sociale in cui è inserito verso comportamenti, obiettivi, trasformazioni, innocue o addirittura utili per il mandante. Un agente – o più logicamente “diversi agenti” – che deve saper prender parte alla vita politica di quel corpo, capirne le debolezze e le “diverse anime”, studiarne le contraddizioni interne e, se possibile, spingerlo verso la terra di nessuno (scissioni, paralisi, obiettivi perdenti e autolesionisti, conflittualità interna esasperata, chiusura settaria, localismo pregiudiziale, estremismo a prescindere, ecc).

Fin troppo facile, in una sinistra come quella italica...

*****


C’è una foto, nei giorni del G8 di Genova del 2001, che lo riprende davanti a una barricata. Rod Richardson posa fiero davanti all’obiettivo, coperto da un caschetto, una mascherina da saldatore e una maschera antigas. Fisico asciutto e muscoloso, maglietta scura, pantaloni da lavoro comodi, un fazzoletto al collo per i lacrimogeni. Sembra un perfetto “black bloc”. A sedici anni dal vertice è la polizia inglese, incalzata da una commissione parlamentare d’inchiesta di Londra, a svelare la verità: Rod Richardson era un poliziotto infiltrato, che assunse l’identità di un bimbo morto e visse sotto copertura tra i movimenti anarchici inglesi per almeno quattro anni.

L’identità del bimbo morto

È la prima volta in sedici anni che arriva una conferma ufficiale a quanto gli attivisti del Genoa Social Forum hanno sempre denunciato: erano presenti anche «provocatori» mischiati tra i manifestanti del blocco nero, tra i quali appartenenti a forze dell’ordine. Cosa ha fatto durante gli scontri del G8 e che ruolo ha avuto Rod Richardson? Chi lo coordinava e quale era il suo ruolo? Ha effettuato solo un’attività di intelligence o si è spinto anche a commettere reati? La polizia italiana era stata informata dai colleghi inglesi?

La rivelazione è il risultato di anni di lavoro della commissione guidata dal magistrato inglese Sir Christopher Pitchford, il cui mandato è di fare luce sull’uso disinvolto (in alcuni casi c’è il sospetto di veri e propri abusi) degli agenti undercover infiltrati dalla polizia britannica, e in particolare dalla special political unity, una sorta di corrispettivo della Digos italiana. Nell’istruttoria sta venendo fuori un po’ di tutto. Perquisizioni e monitoraggi illegittimi di movimenti politici, agenti che non si capisce esattamente a chi rispondessero e quali funzioni svolgessero, fino ad arrivare a drammi sentimentali: c’è chi, sotto nome falso, ha intrattenuto relazioni sentimentali e sessuali, o chi ha fatto un figlio e poi è “scomparso”. Il sospetto dei magistrati, che investe in qualche modo anche Genova, è anche un altro: che libertà di azione avevano gli agenti sotto copertura? Hanno commesso reati o hanno agito da provocatori? Hanno coordinato o organizzato azioni violente? E, in tutto questo, a chi riferivano e quale era la loro missione?

A queste domande la polizia metropolitana di Londra ha rifiutato di rispondere. Così come la commissione si è vista negare l’accesso alla vera identità di Richardson. Il quotidiano inglese The Guardian ha però rintracciato la madre del vero Rod Richardson, nato il 5 gennaio del 1973 e morto lo stesso giorno al St George Hospital di Tooting, per problemi respiratori o forse perché rimasto soffocato dal latte (questa è sempre stata la convinzione dei genitori): «Riteniamo che un ufficiale di polizia abbia rubato l’identità del bimbo – ha testimoniato l’avvocato della famiglia Jules Carey davanti alla commissione – e che sia stato impiegato sotto copertura almeno dal 2000 al 2003». Dopo quell’anno infatti parte per un viaggio in Australia e, dopo aver scritto ad alcuni amici che si stabilirà lì perché la compagna ha trovato un lavoro all’università, nessuno ne sente più parlare.

A certificare il suo passaggio da Genova nei giorni del 2001 ci sono svariate testimonianze e alcune fotografie, fornite da alcuni ex compagni di lotta, sotto choc dopo la rivelazione dell’identità del finto attivista. Una delle immagini ritrae il poliziotto davanti a un’auto in fiamme in corso Italia, una delle micce che scatenò successivamente le cariche della polizia, talvolta indiscriminate e indirizzate a parti pacifiche del corteo, mentre i manifestanti del blocco nero, sgattaiolavano per le vie della città in cerca di altri obiettivi. In un’altra foto Richardson appare bardato con le coperture delle tute bianche, in una zona che presumibilmente potrebbe essere compresa tra via Tolemaide e corso Torino. Alcuni ex attivisti hanno raccontato come “Rodders”, soprannome con cui era conosciuto tra nella galassia del «movimento anticapitalista», fosse un «bravo ragazzo», particolarmente «sprezzante nel violare la legge e affrontare i poliziotti» negli scontri di piazza. Impossibile o quasi sospettare che fosse un agente: un amico ha ricordato ai media britannici di una serata al karaoke in cui si scatenò cantando “Firestarter” dei Prodigy.

Accertamenti della Procura

La domanda ha sfiorato molti manifestanti reduci del G8: chi erano i black bloc, come si erano organizzati, e per quale motivo è stata così inefficace la loro identificazione e neutralizzazione? La polizia italiana – durante i processi a membri delle forze dell’ordine per le violenze e i depistaggi alla scuola Diaz, alle torture nella caserma di Bolzaneto e in quelli a carico dei manifestanti accusati di saccheggio e devastazione – ha sottolineato più volte la scarsa collaborazione da parte di polizie straniere.

Chi è davvero Rod Richardson, cosa ha fatto per le strade di Genova nel 2001, e a chi rispondeva? La Procura di Genova è stata informata dei recenti sviluppi dell’inchiesta della commissione britannica e segue con attenzione l’istruttoria. Non è escluso che il caso possa portare a nuovi accertamenti anche in Italia, per quanto, sedici anni dopo, anche il reato di devastazione e saccheggio, che prevede pene durissime, sia avviato alla prescrizione.

Vedi anche:

http://contropiano.org/news/cultura-news/2013/06/25/polizia-inglese-storie-di-agenti-infiltrati-tra-gli-attivisti-017569

http://contropiano.org/news/internazionale-news/2015/09/08/infiltrazioni-nel-movimento-un-caso-tedesco-032722

http://contropiano.org/documenti/2013/09/15/agenti-di-influenza-ovvero-infiltrazione-e-controllo-019046

http://contropiano.org/news/politica-news/2013/09/28/rifondazione-ferrero-denuncia-una-infiltrazione-dei-servizi-segreti-019350

Fonte

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