Il Presidente della Repubblica ha appena posto la prima pietra del terzo ponte di Niamey. Ancora i cinesi saranno i protagonisti dell’opera. Dopo il secondo ponte battezzato "Dell’amicizia Cino-Niger" ora è un presidente, autore del primo colpo di stato, a dare il nome al nuovo ponte. Si chiamerà Seyni Kountché, militare che ha lasciato un ricordo incancellabile nell’immaginario popolare nigerino. Il primo ponte, chiamato Kennedy, è quello che conduce al cavalcavia dei Martiri. Ora resta da cominciare il ponte che non c’è, chiamato dalla storia e dalla geografia Niger.
Il primo cavalcavia ha segnato un’epoca e tutti gli abitanti di Niamey lo conoscono. Porta il nome di Mali Bero, eroe leggendario che guidò l’esodo del popolo Zerma alcuni secoli fa. L’altro è quello già citato sopra, a ricordo dei tre universitari uccisi dai militari nel 1990. Se ne prepara un terzo, altrettanto autorevole, perché porta il nome del primo Presidente della Repubblica, Diori Hamani. Oltre i cavalcavia è stata inaugurata di recente una nuova centrale termica nei pressi della città. Una volta funzionante dovrebbe garantire l’elettricità alla capitale Niamey assediata dal calore del Sahel.
Il ponte che ancora non c’è si chiama Niger. Tra tutti è quello più necessario perché permettebbe di unire le due rive che finora non si sono mai incontrate. La riva dei poveri e quella degli abbienti. Da quest’ultima i politici vendono promesse che il fiume porta verso il mare. Rive che si guardano da lontano e non si incontrano mai. La riva degli studenti, battuti, feriti, uccisi (due o più a seconda delle versioni) e infine espulsi ieri a migliaia dal campus universitario. Gli alunni delle scuole statali elementari e medie, dimenticati, traditi e abbandonati lungo la strada dell’educazione per tutti.
Il ponte che ancora non c’è manca di nome. Sono infatti senza nome i poveri delle campagne, le migliaia di giovani senza nessun futuro prevedibile, i vulnerabili venduti alle agenzie dell’Unione Umanitaria con la codarda complicità delle politiche locali. Senza nome sono coloro che la sabbia dorata della dimenticanza abbandona al vento. Un ponte inesistente che neppure i cinesi potranno costruire sulle ceneri del tradimento delle Repubblica. Un ponte che non arriva da nessuna parte perché vuota è la politica degna di questo nome. Si usano parole rubate al tempo.
Il ponte che ancora non c’è porta un nome migrante. Cerca a tutti i costi di passare dall’altra parte del fiume. Non si arrende e neppure gli anni pieni di polvere lo fermano. I muri o i fili spinati lo obbligano ad andare avanti. Cambia di nome, nazionalità, itinerario, idee e compagni di viaggio quando serve. Il ponte che ancora non c’è è quello progettato dai ciechi, costruito dagli storpi e completato dagli inutili. Il ponte che ancora non c’è è invisibile agli occhi dei potenti ed è un cantiere nel quale non si lavora di domenica perché è Pasqua.
Niamey, aprile 017
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