di Michele Paris
Nel pieno del primo viaggio oltreoceano del presidente Trump, questa
settimana la Casa Bianca ha presentato al Congresso la propria proposta
per il bilancio federale degli Stati Uniti del prossimo anno che servirà
da punto di partenza nelle complesse trattative per giungere nei
prossimi mesi a una versione definitiva.
Il piano di spesa
dell’amministrazione Trump è stato redatto dal “direttore del budget”
della Casa Bianca, l’ex deputato repubblicano Mick Mulvaney, già
considerato uno dei più irriducibili “falchi” sulle questioni fiscali
durante il suo mandato alla Camera dei Rappresentanti di Washington.
Coerentemente
con l’inclinazione del proprio autore e con gli orientamenti dello
stesso Trump, la bozza di bilancio rappresenta poco meno che una
dichiarazione di guerra ai poveri e ai lavoratori americani. Se tutte o
parte delle iniziative in esso contenute dovessero essere implementate,
molti programmi sociali diretti alle classi più deboli negli Stati
Uniti, in larga misura eredità del riformismo progressista degli anni
Trenta e Sessanta del secolo scorso, verrebbero in pratica svuotati o
smantellati completamente.
La proposta di Trump è stata duramente
criticata soprattutto da leader ed esponenti del Partito Democratico,
ma l’ennesimo assalto a ciò che resta del welfare USA da parte della
Casa Bianca è in realtà il culmine di un lungo processo, avanzato in
parallelo all’acuirsi del capitalismo americano e portato avanti,
talvolta con maggiore determinazione, anche dalle amministrazioni
democratiche.
Il bilancio federale da 4.100 miliardi di dollari
include tagli alla spesa pubblica pari alla cifra stratosferica di 3.600
miliardi entro i prossimi dieci anni. Al centro del delirio trumpiano
vi è il concetto, condiviso da moltissimi all’interno della classe
dirigente americana e non solo, che qualsiasi forma di welfare scoraggia
l’attitudine al lavoro di coloro che ricevono qualche beneficio dal
governo e che la società odierna non ha in pratica alcuna responsabilità
nel provvedere ai bisogni essenziali dei propri elementi più deboli.
L’altra
ragione che spinge alla riduzione drastica della spesa pubblica sarebbe
l’esplosione del debito federale. Questa tesi è però smentita dal
continuo crescere degli stanziamenti militari, che Trump promette di
aumentare di un altro 10%, e dall’impegno ad abbassare le tasse per i
ricchi e le grandi aziende.
Uno dei programmi maggiormente
colpiti dalla proposta di bilancio di Donald Trump sarebbe Medicaid,
ovvero la copertura sanitaria destinata a oltre 74 milioni di americani
disabili o a basso reddito. Il taglio in questo caso ammonterebbe a 800
miliardi di dollari in dieci anni.
Inoltre, come già previsto
dalla legge sulla sanità di Trump in discussione al Congresso (“AHCA”),
Medicaid vedrebbe alterata la propria natura di programma finanziato
senza limiti fissi e a seconda dei bisogni di quanti ne beneficiano. La
nuova proposta prevede un sistema gestito dai singoli stati in base a
uno stanziamento federale ben definito che costringerebbe gli
amministratori a tagliare i servizi offerti o il numero di persone
coperte.
Tra le misure più crudeli incluse nella bozza presentata
da Trump c’è poi una nuova sforbiciata ai sussidi per l’acquisto di
cibo (“food stamps”) dopo i significativi tagli già apportati o avallati
dall’amministrazione Obama negli anni scorsi. Il numero di americani
che hanno potuto permettersi un pasto grazie a questo programma era
salito vertiginosamente dopo l’esplosione della crisi finanziaria del
2008-2009, fino a interessare a tutt’oggi qualcosa come 44 milioni di
persone. Trump propone ora di togliere a questa voce di spesa un quarto
dei fondi, cioè poco meno di 200 miliardi di dollari in dieci anni.
Altrettanto
grave è il taglio da 72 miliardi di dollari ipotizzato per l’assistenza
ai disabili. Questo provvedimento sarebbe dovuto al fatto che, come
hanno spiegato apertamente la Casa Bianca e vari leader repubblicani,
spesso i disabili assistiti sono perfettamente in grado di trovarsi un
lavoro ma non lo fanno perché godono di un sussidio federale.
L’impegno
nell’accrescere la manodopera super-sfruttata e sottopagata a
disposizione delle aziende private, sottraendola al welfare, è alla base
anche di altre misure, come la riduzione di oltre 270 miliardi di
dollari al fondo del programma “TANF”, creato dall’amministrazione
Clinton nel 1997, che sostiene economicamente famiglie povere con figli a
carico.
L’attitudine anti-scientifica e il disprezzo della
cultura da parte dell’amministrazione Trump emergono poi inevitabilmente
da altre proposte del bilancio. A perdere finanziamenti vitali
potrebbero essere infatti vari istituti culturali e di ricerca, come
quello sul cancro e per la promozione delle arti.
Come già
anticipato, non tutte le voci di spesa federale vedranno un
ridimensionamento. Il già colossale bilancio del Pentagono otterrebbe ad
esempio da Trump più di 50 miliardi extra, pari al 10% del totale.
Inoltre, il carico fiscale per i redditi più alti si abbasserebbe, sia
tramite un taglio delle aliquote sia grazie all’abolizione della tassa
extra del 3,8% sui “capital gains” che l’amministrazione Obama aveva
introdotto per finanziare la riforma sanitaria del 2010.
Nonostante
queste ultime proposte, l’intero piano della Casa Bianca dovrebbe
magicamente ridurre il deficit federale di 5.600 miliardi di dollari nel
prossimo decennio. La fantasiosa previsione è basata in particolare
sull’illusione che la contro-rivoluzione neoliberista auspicata da Trump
generi una crescita annua dell’economia americana pari al 3%, un
livello escluso, oltre che dalla logica, da svariate stime indipendenti,
tra cui quella della Federal Reserve.
Com’è consuetudine negli
Stati Uniti, alla proposta di bilancio del presidente si affiancano in
seguito quelle di Camera e Senato. Su queste tre bozze vengono poi
condotti dei negoziati – tra la Casa Bianca e la maggioranza al
Congresso e tra quest’ultima e i leader di minoranza – che dovrebbero
portare all’approvazione di un piano di spesa definitivo.
Intanto,
la proposta di Trump ha già aggravato la crisi politica a Washington,
visto che l’enormità dei tagli previsti a programmi sociali molto
popolari ha convinto numerosi membri del Congresso repubblicani a
prendere le distanze dal presidente.
Come già accaduto nel
dibattito sulla proposta di legge sanitaria di Trump, gli “ideali”
ultra-liberisti della destra repubblicana che dovrebbero guidare le
politiche del governo e del Congresso rischiano di avere un contraccolpo
rovinoso sul gradimento del partito, oltre che sulla vita di decine di
milioni di americani.
Per questa ragione, i leader repubblicani
al Congresso hanno chiarito che quello presentato dalla Casa Bianca non
sarà né il bilancio proposto dalla maggioranza né quello che verrà alla
fine approvato. La cautela repubblicana non deve però illudere nessuno,
poiché il bilancio alternativo a quello del presidente sarà al limite
solo marginalmente meno reazionario di quest’ultimo.
Anzi, lo
speaker della Camera, Paul Ryan, ha lasciato intendere che la sua
proposta potrebbe includere modifiche anche per il ridimensionamento di
Medicare, il programma di assistenza sanitaria destinato agli anziani
che Trump si è impegnato a lasciare per il momento inalterato.
Anche
se non tutti gli aspetti della proposta del presidente saranno alla
fine incorporati nel bilancio federale del prossimo anno, l’iniziativa
della Casa Bianca servirà comunque a spostare da subito verso l’estrema
destra il dibattito sul finanziamento del governo.
I democratici,
da parte loro, non opporranno alla fine particolari resistenze, se non
alle misure più radicali e per motivi principalmente elettorali.
Infatti, nonostante le ferme critiche al bilancio del presidente di
questi giorni, i leader dell’opposizione al Congresso hanno già fatto
sapere di essere disposti a collaborare con un partito e una Casa Bianca
forse mai così a destra in tutta la storia recente degli Stati Uniti.
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