di Chiara Cruciati – Il Manifesto
A due giorni dalla
rinnovata investitura trumpiana del presidente golpista al-Sisi
(incensato a ogni piè sospinto, «un ragazzo fantastico» suole ripetere
il presidente Usa), martedì le sbarre di una prigione si sono aperte per
Khaled Ali.
Avvocato per i diritti umani tra i leader di piazza Tahrir,
ex candidato alle elezioni presidenziali del 2012 (vinte dal
rappresentante dei Fratelli Musulmani, Morsi, poi deposto), fondatore
del partito di sinistra Pane e Libertà, Ali aveva annunciato
l’intenzione – ancora non ufficiale – di candidarsi alle presidenziali del prossimo anno, stavolta contro al-Sisi stesso.
Insomma, in un uomo solo tutte le possibili minacce all’autoritarismo del Cairo:
la rivoluzione di sei anni fa, le rivendicazioni della sinistra e delle
organizzazioni per i diritti umani che si battono contro la repressione
di Stato e ora anche la sfida alla poltrona presidenziale.
Ieri dopo 24 ore di fermo la procura generale ne ha ordinato la
scarcerazione dietro pagamento di una cauzione di mille sterline, circa
50 euro, e fissato la prima udienza del processo per il 29 maggio. Rischia due anni e una multa di 5mila euro, oltre ovviamente al divieto a candidarsi.
Gli avvocati hanno denunciato l’impossibilità di vedere gli atti di
accusa e di esserne quindi all’oscuro. Pare, però, che i motivi
dell’arresto risalgano alla lunga battaglia popolare di un anno fa
contro la cessione delle isole egiziane di Tiran e Sanafir all’Arabia
Saudita: decisa da al-Sisi durante la visita di re Salman, era stata
aspramente contestata dal popolo egiziano che dopo tre anni dal golpe
tornava nelle piazze unito contro il governo.
Il 16 gennaio scorso la Corte suprema amministrativa ha
annullato l’accordo (che si è impegnato fin dall’inizio, presentando
insieme ad altri avvocati ricorso contro il “regalo” a Riyadh): in
quell’occasione sarebbe stato fotografato mentre faceva un presunto
gesto «osceno» mentre veniva portato in spalla dai suoi sostenitori.
Lo fa sapere il suo avvocato, Malek Adli, anche lui tenuto
prigioniero per mesi lo scorso anno. « È tutto connesso alla sua
attività politica e per i diritti umani – ha commentato Adly, membro
dello stesso partito – Veniamo puniti per le nostre politiche pulite e,
sì, intendiamo candidarci, per questo subiamo questi attacchi».
L’accusa, dunque, è «offesa alla pubblica decenza». Ma il suo
caso non è unico: nelle ultime settimane 36 persone sono state
arrestate in 17 città con accuse varie, tra cui insulti alla presidenza e
incitamento alla violenza contro lo Stato via social network.
Sono tutti membri di partiti di opposizione (Pane e Libertà, Dostour,
il Movimento 6 Aprile, i Socialisti rivoluzionari e il partito
Social-democratico). Per le opposizioni non si tratta che di una
campagna repressiva preventiva in vista del voto del prossimo anno: fare
piazza pulita delle voci contrarie per evitare sfidanti.
AGGIORNAMENTI
ORE 8.00: Chiusi oltre venti siti d’informazione
Il regime egiziano continua con la linea del pugno di ferro contro le
voci dissidenti. Nelle ultime ore sono stati chiusi 21 siti
d’informazione e portali tra i quali quelli di al Jazeera e di Mada
Masr. Nel caso di al Jazeera però la decisione sembra essere la
conseguenza della forte tensione tra il Qatar, dove ha sede la famosa tv
allnews, e l’Arabia Saudita che è sostenuta dall’Egitto.
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