di Michele Giorgio – Il Manifesto
Il discorso, di fatto una
dichiarazione di guerra all’Iran, pronunciato da Donald Trump davanti a
decine di capi di stato e di governo sunniti riuniti una settimana fa a
Riyadh, era stato letto come il primo atto di una rinnovata politica di
scontro con Tehran guidata dagli Usa e dall’Arabia Saudita.
Invece, partito Trump, i petromonarchi del Golfo hanno
cominciato a lanciarsi gli stracci, in quello che appare come un
regolamento di conti volto ad isolare il Qatar, un emirato piccolo ma
ricco e molto influente, grazie ai suoi miliardi di dollari, nonché stretto alleato della Turchia di Erdogan.
Da tempo il Qatar è ai ferri corti con i cugini sauditi. Motivo? Il
suo appoggio ai Fratelli musulmani nemici dei regnanti Saud e non in
linea con il modello wahhabita-salafita che Riyadh diffonde nel mondo
islamico. Già nel 2014 Doha era stata messa sotto pressione nel
Consiglio di Cooperazione del Golfo (Ccg, le sei petromonarchie) per
l’appoggio che garantisce alla Fratellanza. Ora lo scontro si è
allargato e coinvolge il presidente-dittatore egiziano Abdel Fattah al
Sisi, in lotta con i Fratelli musulmani, sceso in campo dalla parte
dell’Arabia Saudita che al Cairo assicura ingenti aiuti finanziari e
petrolio a prezzi stracciati.
Scintilla di questa crisi sono state delle “fake news”, notizie false, almeno così le descrive il Qatar.
Due giorni fa sul sito dell’agenzia di stampa qatariota sono apparse
presunte dichiarazioni dell’emiro del Qatar, lo sceicco Tamim ben Hamad
Al Thani, amichevoli nei confronti di Tehran – «L’Iran rappresenta un
potere regionale e islamico che non può essere ignorato» – e offensive
verso l’Arabia Saudita.
L’emiro inoltre ha descritto il movimento Hamas, emanazione dei
Fratelli musulmani, come «il legittimo rappresentante del popolo
palestinese». Doha ha smentito tutto. Ha spiegato che «hacker
arabi» erano entrati nei sistemi operativi e negli account sui social
dei media statali del Qatar allo scopo di diffondere informazioni false e
scatenare una crisi tra Paesi arabi.
Le spiegazioni non hanno convinto Riyadh e i suoi alleati – Emirati
arabi, Bahrain ed Egitto – dove i siti internet riconducibili al Qatar, a
cominciare da quello della famosa tv al Jazeera, sono stati
oscurati mentre i giornali di proprietà saudita continuano a condannare
le presunte dichiarazioni dell’emiro Tamim. Okaz ha accusato Doha di
“aver rotto i ranghi” sunniti per affiancarsi ai “nemici” sciiti
iraniani.
Il Qatar inizialmente è rimasto sulla difensiva, poi è
passato al contrattacco, accusando gli avversari di aver organizzato un
«complotto» per punirlo per essere stato elogiato da Donald Trump per il
contributo che offre alla lotta al terrorismo – in realtà
tutti sanno, americani inclusi, che proprio da generosi donatori
residenti in Qatar, Arabia Saudita e nelle altre petromonarchie giungono
le risorse per gli uomini dello Stato islamico e di al Qaeda che hanno
messo a ferro e fuoco Iraq e Siria – e per la sua alleanza militare con
Washington.
«Certe parti, per attuare il loro piano, hanno atteso la fine del
vertice di Riyadh, in cui il presidente Trump ha lodato la volontà
dell’emiro Tamim di combattere tutte le forme di estremismo e
terrorismo. Questa meritata lode ha generato una cieca gelosia in
qualcuno. Grazie a Dio il complotto è stato sventato perché i cittadini
del Golfo sanno distinguere la verità dalle notizie false», ha scritto
Sadiq al Amari, editorialista di Asharq in evidente riferimento
all’Arabia Saudita. «C’è una campagna mediatica ostile contro il Qatar,
che affronteremo» ha avvertito il ministro degli esteri, Mohammed Bin
Abdul Rahman al Thani, aggiungendo che la campagna «è particolarmente
attiva anche negli Stati Uniti».
I dubbi sulla “fedeltà” di Doha nello scontro con l’Iran,
secondo alcuni, avrebbero come obiettivo quello di spingere
l’Amministrazione Trump a trasferire il comando militare centrale degli
Stati Uniti nel Golfo dal Qatar in un’altra petromonarchia. Non
l’Arabia Saudita che considera tutto il suo territorio «sacro
all’Islam» e non accessibile alle forze armate del potente ma “infedele”
partner americano, ma comunque un leale alleato di Riyadh. Con ogni
probabilità il Bahrain dove ha già sede la V Flotta Usa.
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