Se qualcuno nutrisse dubbi in merito al fatto che questa è l’era del
pensiero unico, un’epoca in cui non esistono quasi più giornali, radio o
canali televisivi che non sostengano posizioni praticamente identiche
su tutte le questioni economiche, sociali e politiche di fondo
(dall’urgenza di tagliare la spesa sociale alla necessità di lottare
contro il “populismo”, dalla definizione di buoni e cattivi nelle varie
guerre in corso a come fronteggiare la sfida terrorista, dalla
celebrazione del politicamente corretto alla condanna delle
manifestazioni di piazza “violente”, ecc.) ,vada a leggersi gli articoli
(o guardi i servizi televisivi) che i media mainstream dedicano alla
crisi venezuelana, poi, se ne ha tempo e voglia, consulti qualche fonte
alternativa in Rete, o scorra qualche articolo sui rari fogli “eretici”
rimasti in circolazione.
Per quanto riguarda i primi sfido il lettore a trovare – e a
segnalarmi – una voce che dia una versione minimamente obiettiva di
quanto sta accadendo in Venezuela, che non dipinga, cioè, Maduro come un
dittatore sanguinario a capo di un regime totalitario e i suoi
oppositori come cittadini inermi che lottano eroicamente per
reintrodurre la democrazia nel Paese. Per quanto riguarda i secondi,
segnalo l’intervista a Luciano Vasapollo,
economista e profondo conoscitore della politica latinoamericana,
pubblicata sul sito Contropiano. Tuttavia, poiché mi rendo conto che il
sottotitolo Giornale comunista online che accompagna la testata di
Contropiano può indurre alcuni a liquidare l’analisi di Vasapollo come
il punto di vista di un castrista nostalgico, consiglio di ascoltare
altre due campane meno “sospette”. La prima, segnalatami dall’amico
Daniele Benzi che da anni insegna in varie università latinoamericane, è
un articolo del professor Gabriel Hetland,
docente di Studi latinoamericani all’Università di Albany, dal titolo “Why is Venezuela Spiraling Out of Control” e pubblicato sul sito
Jacobin.
Ecco gli argomenti con cui Hetland contrasta la narrativa dei media mainstream.
1. L’accusa di essere un dittatore veniva sistematicamente rivolta
anche a Chavez (sempre regolarmente eletto e, semmai, oggetto di un
tentato golpe di destra), ma anche Maduro è salito al potere legalmente,
dopodiché, anche se non si può negare che stia facendo di tutto per
impedire che il Parlamento dominato dall’opposizione riesca a governare,
questo basta, si chiede Hetland, per definire totalitario un regime che
lascia piena libertà di stampa e consente all’opposizione di mobilitare
continue manifestazioni di piazza? Pinochet e i generali argentini,
sostenuti dagli Stati Uniti, non si comportavano un po’ diversamente?
2. Ma le “pacifiche” manifestazioni contro Maduro non vengono
sistematicamente e violentemente represse? Ahimè, contrariamente alla
vulgata dei media occidentali, quelle manifestazioni non sono affatto
pacifiche: almeno la metà dei morti (se non di più) durante gli scontri
dell’ultimo anno, documenta Hetland, sono stati provocati
dall’opposizione che, fra le altre azioni, ha attaccato e distrutto
edifici pubblici, fra cui scuole e ospedali (costringendo, in un caso,
50 madri e neonati a evacuare un reparto di maternità). Queste
“imprese”, che ove compiute da noi verrebbero definite teppistiche se
non terroristiche, in Venezuela diventano lotta per la democrazia, di
quei questi paladini della democrazia e della legalità che, nel 2013, si
rifiutarono di riconoscere la vittoria elettorale di Maduro, invocando
inesistenti brogli (gli stessi Stati Uniti riconoscono l’affidabilità
del sistema elettorale venezuelano).
Ciò detto, Hetland non manca di sottolineare le pecche di Maduro: dai
gravi errori di politica economica (la crisi provocata dal crollo del
prezzo del greggio avrebbe potuto essere fronteggiata meglio, se si
fosse provveduto per tempo a differenziare la matrice produttiva del
Paese) e non c’è dubbio che l’attuale regime – pur non potendo essere
definito totalitario – abbia subito una evoluzione in senso autoritario
che contrasta con l’originario sogno chavista di costruire una
democrazia partecipativa fondata sul protagonismo dei cittadini.
Occorrerebbe tuttavia inquadrare tale evoluzione nel contesto del feroce
attacco da parte degli Stati Uniti – e delle forze di destra interne
alleate alla potenza imperiale – che oggi stanno subendo tutti i Paesi
latinoamericani che, negli ultimi vent’anni, avevano tentato, anche
attraverso strade diverse, di emanciparsi dal Washington Consensus e
uscire dal “cortile di casa” degli Stati Uniti.
A tal fine suggerisco
un’ulteriore lettura: il lungo articolo di Maurice Lemoine, “Guerra
subdola in Ecuador, guerra totale in Venezuela” pubblicato sul numero di
maggio dell’edizione italiana di “le Monde diplomatique”.
Lemoine descrive come l’opposizione ecuadoriana di destra, dopo la
sconfitta nelle recenti elezioni presidenziali, abbia immediatamente
applicato il “protocollo Venezuela”: prima ancora che fossero noti gli
esiti del ballottaggio fra il successore di Rafael Correa, Lenin Moreno,
e il candidato della destra, Guillermo Lasso, tutti i media
dichiararono la vittoria di quest’ultimo; poi, quando divenne chiaro che
Moreno aveva vinto, sia pure di misura, gridarono ai brogli, invocando
un golpe e, visto che le forze armate non reagivano, chiamando il Paese
alla delegittimazione del governo attraverso mobilitazioni di piazza e
un continuo, furibondo bombardamento mediatico (in tutta l’America
Latina i media sono saldamente in mano alle destre). Lemoine prosegue
evidenziando le analogie, non solo fra i casi venezuelano ed
ecuadoriano, ma anche con le svolte a destra elettorali (elezione di
Macri in Argentina) e istituzionali (destituzione di Dilma Rousseff in
Brasile) avvenute in altri Paesi latinoamericani: nessuno di questi
cambiamenti di regime è avvenuto come un normale avvicendamento, ma è
stato piuttosto l’esito di violente pressioni esterne (sia economiche
che politiche) associate a campagne diffamatorie, corruzione di membri
dei partiti avversari, ecc., mentre, nel caso del Venezuela, non è
escluso che si possa arrivare a scenari di guerra civile in stile
colombiano.
Che gli Stati Uniti siano disposti a tutto per riacquistare il
controllo del cortile di casa, e che il sistema mediatico americano ne
sostenga senza riserve il progetto, rientra nella più assoluta
normalità. Un po’ meno scontato l’allineamento “bulgaro” di forze
politiche e media europei. Ma in fondo non è il caso di stupirsene: gli
interessi del capitalismo mondiale non sono compatibili con la
secessione di un intero continente dalle regole del mercato globale, per
cui richiedono un pronto ritorno alla “democrazia”, naturalmente intesa
come dominio incontrastato del “libero mercato”. Ecco perché, mentre
Maduro viene descritto come un dittatore, il presidente cinese viene
celebrato come la provvidenziale alternativa a Trump, come il nuovo
campione del “mondo aperto”.
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