Scordiamoci, almeno per il momento, la Baia dei Porci, il Cile di Allende, i contras in Nicaragua, le migliaia di desaparecidos che hanno insanguinato per decenni il Latino America: l’imperialismo si riallinea alla società contemporanea – quella delle lobby economiche che dominano sul ceto politico e della comunicazione globalizzata – e sceglie modalità non direttamente militari per reprimere i suoi nemici giurati e riconquistare qualche casamatta. È quello che accade da tempo in Venezuela, dove la grancassa mediatica della borghesia liquida la guerra civile in atto come l’espressione di violenza da parte di un regime autoritario. Maduro come Kim Jong-un, quindi. Inutile dire, a questo punto, che i media italiani si affrettano a cogliere la palla al balzo e la rilanciano con una prontezza sconosciuta, in passato, a livello di “copertura” delle vicende latinoamericane. Rompere il muro mediatico è oggettivamente difficile, ma quanto più necessario farlo adesso, al tempo del dogma della società civile “sincera e democratica”.
Ci proviamo oggi, venerdì 26 maggio, al CSOA Corto Circuito (h.18), con gli interventi di compagni che hanno una lunga esperienza nella solidarietà ai popoli in lotta, e di Geraldina Colotti (il manifesto – Le monde diplomatique), tra i pochi giornalisti che in Venezuela c’è stata veramente e non si è limitata a fare “l’inviato” come Omero Ciai, che notoriamente ha una vista così sviluppata che da Rio de Janeiro arriva a Caracas. Con video e info-grafiche spiegheremo come gli americani, nella loro ingenua tracotanza, avevano già annunciato il cambio di strategia: Gene Sharp da oltre trent’anni ha teorizzato le pratiche di sovvertimento dei governi legittimi (guarda caso tutti appartenenti all’area socialista o ex-socialista) mediante pratiche che, dietro a definizioni suadenti come “non-violente”, “colorate”, “di disobbedienza civile”, nascondono manovre di manipolazione di massa. Nulla di complottistico, per carità, né riconducibile al lavaggio del cervello o all’ipnosi: semplicemente l’occupazione di spazi mediatici, il peggioramento delle condizioni di vita per larghi strati della popolazione o per intere regioni attraverso attacchi paramilitari (assai poco non-violenti) a presidi sanitari, supermercati con prezzi sociali e scuole pubbliche, l’ossessiva invocazione dell’intervento umanitario. Quando si parla di “morti in Venezuela”, si omette che quei morti spesso è gente nostra, sono membri della Guardia Nacional che difende le conquiste della Rivoluzione bolivariana, sono proletari colpiti dai proiettili professionali o artigianali utilizzati dai “pacifici” studenti, sono padri e madri di famiglia che cercavano di portare a casa qualcosa da mangiare, nelle zone in cui imperversa la guerra economica e la borsa nera.
Venerdì parleremo di tutto questo e proveremo a spiegare come in Venezuela, oggi, come ieri, la lotta di classe sia con Maduro e non contro Maduro; come una rivolta possa essere anche una controrivoluzione e non sempre una rivoluzione; come l’Assemblea Nazionale Costituente invocata da Maduro non sia l’extrema ratio di un leader in crisi, ma la conferma di un processo popolare costituente che in Venezuela non si ferma neanche nelle fasi più violente dell’attacco imperialista; come infine quello che accade in Venezuela non è molto dissimile da quello che accade, in sedicesimi, anche da noi, tutti i giorni: i ricchi cercano di riprendersi quelle risorse che i Paesi socialisti in Latino America e (in sedicesimi, anzi molto meno) il welfare socialdemocratico in Europa avevano destinato ai subalterni.
La nostra opposizione a questa “lotta di classe al contrario” passa anche per la difesa del Venezuela bolivariano e socialista.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento