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04/09/2021

“Se dovessimo scegliere tra la pace e il potere sceglieremmo la pace”

In preparazione all’incontro sull’Afghanistan di sabato 11 settembre a Roma, pubblichiamo questa intervista a Mohammed Najibullah Ahmdazai, ucciso nel 1996 dai mujaheddin sostenuti dagli USA.

Mohammed Najibullah Ahmdazai è stato Segretario Generale del Partito Democratico del Popolo Afghano (PDPA in inglese), formazione comunista filo-sovietica nata nel Paese asiatico nel 1965, leader della Repubblica Democratica dell’Afghanistan dal 1986 al 1992, nonché suo Presidente dal 1987 fino alle sue dimissioni nell’aprile del 1992.

È stata la figura politica più importante del proprio Paese, e tutt’ora gode di prestigio tra la sua popolazione, come ha dovuto ammettere la stessa rivista di politica estera statunitense Foreign Affairs che è costretta a parlare di “lunga ombra” del leader comunista.

Con l’entrata dei telebani a Kabul nel settembre del 1996, Najibullah venne sequestrato dal compound dell’Onu in cui era rifugiato e fu trucidato dai vincitori della guerra civile che governarono il Paese fino all’invasione anglo-americana del 2001.

Sulla sua morte, cui è chiara la responsabilità occidentale, non è mai stata aperta una inchiesta internazionale.

Najibullah, è entrato nella corrente “Parcham” del Partito (l’ala più “moderata” dell’organizzazione) nel 1965, mentre studiava medicina a Kabul ed è stato imprigionato due volte per la sua attività politica.

Vicinissimo al leader comunista Babrak Kamal, tra i fondatori della formazione, nel 1977 è stato eletto nel Comitato Centrale.

Nell’aprile del 1978, il PDPA prende il potere con la Rivoluzione Saur ed è membro del Consiglio Rivoluzionario.

Inizia una fase di grandi trasformazioni per il Paese sia dal punto della distribuzione della ricchezza, con la riforma agraria, della pianificazione dell’economia che permette l’avvio dello sviluppo industriale ed estrattivo, della parificazione dei diritti delle donne e del ridimensionamento del peso del clero nella politica.

Contro questi cambiamenti si scatena sin da subito l’offensiva dei reazionari.

L’Afghanistan, divenuto da pochi anni una Repubblica, grazie ad un “Colpo di Stato” realizzato grazie al fondamentale contributo degli esponenti del partito comunista tra le forze armate, si avvia verso la transizione socialista e sviluppa un rapporto sempre più stretto con l’Unione Sovietica con cui firma un trattato ventennale di amicizia.

Nello scontro di potere dell’Afghanistan post-rivoluzionario – che vede la sua corrente politica essere sconfitta in un primo momento – dopo essere stato mandato come ambasciatore in Iran e poi allontanato dal governo, si reca in Europa come esule fino all’intervento dell’Unione Sovietica nel 1979 ed al cambio di compagine governativa.

Nel 1980 diviene capo della KHAD, la principale agenzia di intelligence afghana e l’anno successivo entra nel Poliburo del PDPA.

Il KHAD è un apparato di grande importanza, vista la montante contro-rivoluzione scatenata dagli elementi più retrivi della popolazione – con il supporto dato ai mujaheddin da USA, Pakistan e Arabia Saudita – e la forte formazione ideologica dei suoi membri.

Nel 1986 su impulso di Najibullah venne creata la National Compromise Commision (NCC) per tentare la via del dialogo e della riconciliazione nazionale, propugnando un Cessate il Fuoco di 6 mesi per facilitare il dialogo tra le varie forze dell’opposizione.

Sempre nel 1986 venne scritta una Costituzione adottata a novembre dell’anno successivo che andava verso una maggiore condivisione dei poteri, l’Afghanistan cambiò nome eliminando il termine “democratica” da Repubblica, mentre l’anno successivo una Assemblea Nazionale eletta prese il posto del Consiglio Rivoluzionario, permettendo la formazione di altri partiti politici. Le elezioni locali e per i nuovi corpi elettivi nazionali, boicottate dai mujaheddin, registrarono una maggioranza schiacciante per la coalizione formata da PDPA, il Fronte Patriottico e altri partiti di sinistra di recente formazione, controllando il governo.

Ma le aperture nei confronti dell’opposizione, non valsero a nulla, a causa della volontà dei suoi sponsor politici esteri (USA, Pakistan ed Arabia Saudita) e della configurazione internazionale che stava prendendo forma.

Abbiamo tradotto e sottotitolato quest’intervista realizzata nell’autunno del 1989 dal famoso giornalista indiano Saeed Naqui.


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