Una giornata storica quella appena trascorsa al Palazzo di Vetro. La
prevista stretta di mano tra Obama e Rowhani, primo vero contatto
diplomatico tra Stati Uniti e Iran dal 1979, si è trasformata in un
incontro faccia a faccia tra il segretario di Stato Usa, John Kerry,
e la controparte iraniana, il ministro degli Esteri Mohammad Jayad
Zarif. Oggetto dell'incontro il nucleare iraniano, su cui la Teheran del
post-Ahmadinejad si è detta pronta a discutere. Presenti anche
Catherine Ashton in rappresentanza dell'Unione Europea e gli altri
quattro Paesi membri del Consiglio di Sicurezza.
Alla fine dell'incontro, Kerry si è limitato a dire che ancora "tante
domande non sono state risposte e molto è il lavoro da fare". Simile il
commento di Zarif: "Necessario continuare nel dialogo e rimuovere
sanzioni controproducenti". È intervenuto anche il neopresidente
Rowhani: "L'Iran si è impegnato a negoziare sul proprio programma
nucleare, prima è meglio è". Dichiarazioni che aprono la strada a
negoziati veri e propri, con il coinvolgimento delle Nazioni Unite.
Tutti gli attori in campo optano per la cautela: gli Stati Uniti non
rinunciano all'idea che il programma nasconda l'intenzione di produrre
la bomba atomica, mentre Teheran insiste nell'affermare che gli unici
scopi sono energetici, quindi pacifici. Ma il passo compiuto ieri
potrebbe chiudere trent'anni di relazioni ostili, sanzioni economiche e
minacce di interventi esterni.
Tanto lavoro da fare, ma alcune date certe: Kerry ha detto che le
sanzioni non saranno sospese fino a quando l'Iran non permetterà agli
ispettori Onu di verificare lo stato del programma nucleare, ma secondo
un diplomatico statunitense, l'Iran ha proposto la firma di un accordo
entro tre mesi e la sua implementazione definitiva entro un anno. La
Ashton ha indicato date più precise: un prossimo incontro si potrebbe
tenere già a Ginevra tra il 15 e il 16 ottobre prossimi.
L'Iran da parte sua punta alla sospensione di sanzioni che negli ultimi
due anni hanno provocato un crollo delle esportazioni di petrolio verso
l'Europa e i Paesi asiatici (-60%): una riduzione consistente che ha
fatto perdere a Teheran 150 milioni di dollari al giorno.
Ma oggi il più preoccupato è probabilmente il premier israeliano
Netanyahu che dall'elezione di Rowhani ha dormito sonni poco tranquilli:
il nemico storico di Israele, la minaccia nucleare iraniana
utilizzata per fomentare l'opinione pubblica interna e fare pressioni
sulle amministrazioni americane, potrebbe venire meno e lasciare Tel
Aviv più debole di prima. L'asse Iran-Hezbollah-Siria, dopo i
colloqui tra Rowhani e Kerry e la nuova via intrapresa dalla diplomazia
sul caso siriano, potrebbe fare meno paura e privare Israele di quei
nemici comuni che gli garantiscono il sostegno indefesso (economico e
militare) del mondo occidentale.
Lo stesso Rowhani ha lanciato il suo personale guanto di sfida a
Bibi: alla conferenza sul disarmo nucleare tenutasi ieri alle Nazioni
Unite, il presidente iraniano ha invitato Tel Aviv ad unirsi al Trattato
di Non Proliferazione Nucleare, a dichiarare le armi di cui è
in possesso e a rinunciarvi. Rowhani ha messo le carte in tavola.
Nucleare? O tutti o nessuno, o la vera minaccia alla stabilità
mediorientale resterà Israele.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento