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28/09/2013

Occidente al tavolo con l'Iran, incontro storico

Una giornata storica quella appena trascorsa al Palazzo di Vetro. La prevista stretta di mano tra Obama e Rowhani, primo vero contatto diplomatico tra Stati Uniti e Iran dal 1979, si è trasformata in un incontro faccia a faccia tra il segretario di Stato Usa, John Kerry, e la controparte iraniana, il ministro degli Esteri Mohammad Jayad Zarif. Oggetto dell'incontro il nucleare iraniano, su cui la Teheran del post-Ahmadinejad si è detta pronta a discutere. Presenti anche Catherine Ashton in rappresentanza dell'Unione Europea e gli altri quattro Paesi membri del Consiglio di Sicurezza.

Alla fine dell'incontro, Kerry si è limitato a dire che ancora "tante domande non sono state risposte e molto è il lavoro da fare". Simile il commento di Zarif: "Necessario continuare nel dialogo e rimuovere sanzioni controproducenti". È intervenuto anche il neopresidente Rowhani: "L'Iran si è impegnato a negoziare sul proprio programma nucleare, prima è meglio è". Dichiarazioni che aprono la strada a negoziati veri e propri, con il coinvolgimento delle Nazioni Unite.

Tutti gli attori in campo optano per la cautela: gli Stati Uniti non rinunciano all'idea che il programma nasconda l'intenzione di produrre la bomba atomica, mentre Teheran insiste nell'affermare che gli unici scopi sono energetici, quindi pacifici. Ma il passo compiuto ieri potrebbe chiudere trent'anni di relazioni ostili, sanzioni economiche e minacce di interventi esterni.

Tanto lavoro da fare, ma alcune date certe: Kerry ha detto che le sanzioni non saranno sospese fino a quando l'Iran non permetterà agli ispettori Onu di verificare lo stato del programma nucleare, ma secondo un diplomatico statunitense, l'Iran ha proposto la firma di un accordo entro tre mesi e la sua implementazione definitiva entro un anno. La Ashton ha indicato date più precise: un prossimo incontro si potrebbe tenere già a Ginevra tra il 15 e il 16 ottobre prossimi.

L'Iran da parte sua punta alla sospensione di sanzioni che negli ultimi due anni hanno provocato un crollo delle esportazioni di petrolio verso l'Europa e i Paesi asiatici (-60%): una riduzione consistente che ha fatto perdere a Teheran 150 milioni di dollari al giorno.

Ma oggi il più preoccupato è probabilmente il premier israeliano Netanyahu che dall'elezione di Rowhani ha dormito sonni poco tranquilli: il nemico storico di Israele, la minaccia nucleare iraniana utilizzata per fomentare l'opinione pubblica interna e fare pressioni sulle amministrazioni americane, potrebbe venire meno e lasciare Tel Aviv più debole di prima. L'asse Iran-Hezbollah-Siria, dopo i colloqui tra Rowhani e Kerry e la nuova via intrapresa dalla diplomazia sul caso siriano, potrebbe fare meno paura e privare Israele di quei nemici comuni che gli garantiscono il sostegno indefesso (economico e militare) del mondo occidentale.

Lo stesso Rowhani ha lanciato il suo personale guanto di sfida a Bibi: alla conferenza sul disarmo nucleare tenutasi ieri alle Nazioni Unite, il presidente iraniano ha invitato Tel Aviv ad unirsi al Trattato di Non Proliferazione Nucleare, a dichiarare le armi di cui è in possesso e a rinunciarvi. Rowhani ha messo le carte in tavola. Nucleare? O tutti o nessuno, o la vera minaccia alla stabilità mediorientale resterà Israele.

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