di Silvia Mari
In trenta anni i
medici obiettori sono cresciuti del 17% e gli aborti diminuiti del 5%
in un anno. La relazione del Ministero della Salute relativa alla legge
194 del 1978 documenta un calo degli aborti rispetto ad altri Paesi
industrializzati, specialmente per quanto riguarda le donne giovanissime
e minorenni. Il Ministro, Beatrice Lorenzin, si dice soddisfatta dei
numeri che documenterebbero un'applicazione efficace e di successo della
legge.
Il cui scopo principe è sempre stato quello di dare sostegno alle
donne e di fornire loro attraverso il consultorio un aiuto ad esplorare
tutte le strade praticabili prima di ricorrere all'extrema ratio
dell'interruzione di gravidanza e di vagliarne semmai tutte le
condizioni che la dovessero rendere assolutamente necessaria per la
salute psico-emotiva della donna e tanto più fisica nel caso di
condizioni speciali e patologiche. Questa però è la solo la prima parte
della storia.
La seconda racconta di un diritto riconosciuto
dalla legge, ma spesso inesigibile quando le quote degli obiettori
raggiungono livelli di vero e proprio proibizionismo di fatto. Un caso
eclatante in tal senso è quello della Regione Lombardia, in cui due
ginecologi su tre sono obiettori e per moltissime donne il ricorso
all'aborto è di fatto impedito e ostacolato, con tutto quel retaggio di
colpevolizzazione che nei reparti le donne che abortiscono ancora vivono
e che la legge non è riuscita a sradicare.
Per quanto
l'obiezione di coscienza per un medico sia da salvaguardare è
altrettanto ovvio che essa su larga scala non può inficiare la garanzia
di un diritto individuale e al tempo stesso collettivo normato dalla
legge italiana. Oltre ad esserci una menomazione del diritto sussiste un
danno economico per la chiamata dei medici esterni contrattisti di cui
le strutture ospedaliere sono poi costrette ad avvalersi.
Basterebbe che questi medici decidessero di farsi pagare da ospedali e
cliniche private, preferibilmente cattoliche. E comunque gli ospedali
dovrebbero avere la possibilità di selezionare solo ginecologi non
obiettori, così da garantire il servizio, destinando gli obiettori ad
altre attività relative alla prevenzione e controllo.
Dovrebbe
esserci probabilmente un correttivo in merito all'applicazione della
legge che preveda una quota top di obiettori ammessi che non renda
incompatibile la libertà di coscienza individuale con la legge che
tutela la coscienza di tutti.
Nel conflitto tra quella del medico obiettore e quella della donna
che intende abortire, non è dato comprendere perché sia quella della
donna a soccombere in un ospedale pubblico che invece dovrebbe
accoglierla e prendersi cura di lei.
Occorrerebbe semmai rivedere
la legge e perfezionarla per restituire alla donna che assume su di sé
una scelta tanto complessa una dignità e liceità morale che
sostanzialmente non viene ribadita e che ha acconsentito, nel corso del
tempo, a dare dell'aborto l'idea comune che si tratti per le donne di
una pratica di disperazione, di contraccezione in ritardo o di scarsa
comprensione del problema in sé e delle donne che vi ricorrono
un'immagine di persone esclusivamente disagiate a tutti i livelli.
Esiste
poi un tema filosofico cruciale sul tema delle scelte di vita, quale è
quella della nascita o della non nascita, che impone ad un paese laico e
pienamente liberale di rimettere al centro dei diritti e della legge la
coscienza individuale. E' stato persino Papa Francesco a ribadire, in
una lettera aperta ad Eugenio Scalfari, che la salvezza o il peccato di
un uomo risiede nella propria coscienza più che in un atto di fede
estrinseco alla propria persona. Se in termini di coscienza cristiana
una vita è tale fin dal concepimento, in termini laici e scientifici non
è così altrimenti l'aborto sarebbe un omicidio anche quando fosse
terapeutico e le donne verrebbero portate in prigione.
L'embrione
a norma di legge non è una persona ed è la legge dello Stato a dirlo.
La donna quindi che sceglie di non mettere al mondo un figlio è una
persona che interroga se stessa, i suoi convincimenti, le sue idee e i
propri valori di vita. Non può essere il medico il censore del suo
diritto tantomeno l'unità di misura della coscienza. Che non è una per
tutti, ma per tutti propria.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento