Uno degli uomini più pacifici e
tranquilli si è trovato improvvisamente al centro di una polemica in
salsa “antiterrorismo” solo per essersi fatto scappare di bocca la
parola “comprensibile”, riferita ad alcune frasi di un documento scritto
in carcere da due prigionieri politici. Naturalmente non per dare loro
ragione, ma per ricordare a tutti che se si trasforma una “grande opera”
inutile in una questione di ordine pubblico, senza ascoltare le
innumerevoli ragioni contrarie, si creano problemi invece di risolverne.
Nelle stesse ore lo stesso Stefano Rodotà ha dato anche un'intervista (http://www.rivistaeuropae.eu/editoriali/rodota-no-al-referendum-sulleuro-litalia-creda-nellue/)
in cui si è detto “ostile” a un eventuale referendum sull'euro,
difendendo a spada tratta la costruzione europea e criticando soltanto
una certa gestione autocratica degli organismi comunitari.
Insomma, come ogni essere umano a Rodotà è
capitato di dire alcune cose giuste e una sbagliata. Peccato che quella
sbagliata – sull'Unione Europea – sia anche quella decisiva ai fini
della costruzione di un'alternativa credibile ai governi della
Troika e quindi anche al Pd. Non dobbiamo certo ricordare ai nostri
lettori che il professor Rodotà, in coppia col segretario generale della
Fiom Cgil – Maurizio Landini – è impegnatissimo nel tentativo di
raccogliere “il popolo della sinistra” in un nuovo – ennesimo –
contenitore elettorale che dovrebbe infine apparentarsi con le liste del
Pd (ammesso e non concesso che il futuro conducator Renzi sia
d'accordo) per “battere la destra berlusconiana”. Tutto già visto, ma
anche un tentativo che raccoglie consensi – e semina altrettanta
confusione – grazie alla popolarità del tandem Rodotà-Landini.
Vediamo i due “incidenti” separatamente
perché riguardano aspetti diversi, anche se complementari, della
“cultura politica” di questo disgraziato paese.
Nei giorni scorsi il governo ha dato - e
spinto i media a dare - grande pubblicità a un immaginifico documento
scritto in cella di isolamento da due prigionieri arrestati nel 2007, in
una retata contro le cosiddette “Nuove Br”. Il motivo è semplice: in
quello stesso giorno il governo decideva di mandare altri 200 soldati in
Val Susa per “proteggere i cantieri” dell'alta velocità. Militari,
non poliziotti o carabinieri, come si fa per “territori nemici” come
l'Afghanistan o l'Iraq. Mandare i soldati contro una popolazione civile è
una cosa ben poco “democratica”, ma se si riesce a dare il senso di una
“misura antiterrorismo” riesce tutto più facile.
Rodotà ha avuto il coraggio civile di
rilevare i connotati orrendi di questa operazione del governo,
pronunciando la frase poi immediatamente incriminata: le parole senza
seguito, scritte in cella da due persone ormai estranee da anni alle
cose del mondo, sono «deprecabili ma comprensibili e non devono
contribuire a derubricare la realizzazione dell’opera a una mera
questione di ordine pubblico». Insomma: “non riparatevi dietro due
fantasmi solo per non mettere in discussione un'opera sballata”.
Si è alzato il coro consueto contro i
“cattivi maestri”, com'era avvenuto contro Bertinotti ai tempi
dell'omicidio di Massimo D'Antona, specialmente da parte di quegli
stessi personaggi – a cominciare da Angelino Alfano, che pure ricopre il
ruolo di ministro di polizia – che trovano invece “normale” invadere i
tribunali per intimidire i magistrati oppure difendere il seggio
senatoriale di un condannato in via definitiva. Fin qui siamo nella
ripetizione sempre uguale del già visto. In un paese in cui la classe
dirigente ha ritenuto “furbo” non fare i conti con la Storia (né con la
guerra civile esplicitata nella Resistenza, né tantomeno con la lotta
armata di sinistra degli anni '70), ci sono dei temi semplicemente
“tabù” sui cui non è possibile nemmeno abbozzare un ragionamento: o si
fa ricorso al frasario “autorizzato”, senza se e senza ma, oppure scatta
immediatamente – e per chiunque, persino contro il pacificissimo Rodotà
– il prestampato d'accusa: “cattivo maestro”, ecc. Giorni fa era stata
la volta di Gianni Vattimo e Erri De Luca. Sarà così contro qualcun
altro, la prossima volta. Non si deve "comprendere" nulla, solo sparar
cazzate a raffica.
Viva Rodotà, dunque?
Non possiamo proprio dirlo. Perché la
questione politica fondamentale del presente è davvero un'altra: la
tenuta o meno dell'Unione Europea, l'accettazione dei suoi vincoli senza
passare per una legittimazione democratica, e quindi la “democrazia
limitata” prevista dal Fiscal Compact e dagli altri accordi dello stesso
genere. Ovvero la costruzione, oppure no, di una opposizione reale alle
politiche dei governi della Troika; un'opposizione all'altezza della
sfida storica, non relegata alla definizione di “piccoli correttivi” a
un inarrestabile processo di “riforma strutturale” deciso nei cieli
sopra Bruxelles.
Qui si ferma il “cantiere” di Rodotà e
Landini, che non mettono minimamente in discussione i trattati europei e
i relativi vincoli; di qui parte il movimento di lotta dell'autunno,
dallo sciopero generale del sindacalismo conflittuale ai movimenti
territoriali e per l'abitare.
Se si vuole davvero dire “basta all'austerità” bisogna anche puntare alla “rottura dell'Unione Europea”. Simul stabunt, simul cadent...
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