Dopo essersi contesi per 16 anni il controllo dell'azienda Mediobanca, Intesa e Generali l'hanno consegnata per pochi spiccioli alla società di telecomunicazioni iberica. Che però non investirà un euro per rilanciare il concorrente.
I poteri ex forti ormai hanno deciso. Dopo essersi contesi per 16 anni il controllo di Telecom Italia, trofeo ambito nelle loro guerre di potere, l’hanno consegnata, per pochi spiccioli, a Telefónica España.
La Telecom è stata una macchina da soldi che ha propiziato
arricchimenti e carriere. Adesso non c’è più niente da spolpare ed è un
problema di cui liberarsi al più presto. Le cosiddette “banche di
sistema” e i profeti dell’italianità riscoprono gli imperativi
categorici del mercato. Il governo tace. Il viceministro alle
Comunicazioni, Antonio Catricalà, ha detto ieri: “Vorremmo che tutte le aziende fossero italiane, ma non viviamo nel mondo dei sogni”. Altro che Agenda Digitale: l’Italia rischia di restare senza Internet
e pure senza telefoni. Un’esagerazione? La complessa partita a scacchi
che sta portando all’eutanasia di Telecom rende fondato il timore.
Al centro della scena c’è il presidente di Telecom Italia, Franco Bernabè.
Ha bisogno di capitali da investire sulla rete del futuro ma l’azienda
non li ha perché è ancora gravata da 40 miliardi di debiti accumulati da
Roberto Colaninno (che scalò il colosso a spese della stessa Telecom nel 1999) e da Marco Tronchetti Provera che la rilevò nel 2001. Bernabè punta a a un aumento di capitale, cioè i soci che iniettano denaro nell’azienda.
Ma
i padroni di Telecom non vogliono scucire un euro, perché quando hanno
comprata lo hanno fatto per il controllo (in italiano corrente: il
potere) e non per investire nelle telecomunicazioni. E del resto è
comprensibile, basta guardare come è composto il salotto buono
denominato Telco. Questa scatola appositamente costituita nell’aprile 2007 ha acquistato dalla Pirelli di Tronchetti le azioni Telecom a 2,8 euro l’una, con un investimento di 4,5 miliardi.
Oggi il 22,45 per cento di Telecom, che basta a Telco per comandare, vale in Borsa
circa 750 milioni (ieri il titolo ha chiuso a 0,59 euro: in sei anni
hanno perso tre quarti dell’investimento). I soci di Telco sono Telefónica España con il 46,18 per cento, Mediobanca e Intesa Sanpaolo con l’11,62 per cento a testa e Assicurazioni Generali con il 30,58 per cento. Il numero uno di Mediobanca, Alberto Nagel,
ha detto a chiare lettere che lui vuole sbarazzarsi dell’imbarazzante
investimento, e che certo non si sogna di mettere altri soldi. Il boss
di Generali, Mario Greco, è sulla stessa linea: come
spiegare agli azionisti che la compagnia ha perso un miliardo e mezzo
per giocare con i telefoni? Nagel e Greco hanno dichiarato all’unisono
guerra a salotti, patti di sindacato e capitalismo di relazione, e si comportano di conseguenza. Tace con vivo imbarazzo Enrico Cucchiani,
capo di Intesa Sanpaolo, che si è autoeletta “banca di sistema” (ha
all’attivo il capolavoro della difesa dell’italianità di Alitalia).
Il
numero uno di Telefónica si è rassegnato a offrire agli altri soci
Telco fino a 1,09 euro per azione, più del doppio del valore di mercato
(perché loro possono, ai piccoli azionisti invece non tocca niente se il
controllo delle società quotate si scambia con meno del 30 per cento
delle azioni). Le trattative sono ferventi, con varie riunioni nella
sede milanese di Mediobanca. In pratica Cesar Alierta pagherà al massimo 800 milioni, probabilmente in due tranche. Per una società che vale in Borsa oltre 11 miliardi è un sacrificio accettabile, soprattutto se serve a paralizzarla.
Alierta
non intende mettere un solo euro nella società italiana. Ha già detto a
Bernabè che se vuole investire sulle tlc italiane può vendere Telecom Argentina e Tim Brasil, cioè i due unici pezzi del residuo impero che producono utili. Il fatto è che in Argentina e Brasile
ci sono anche le controllate di Telefónica, alle quali le società
italiane fanno una fastidiosa concorrenza. E la sorte di Telecom Italia
senza l’America Latina è segnata.
Gli azionisti italiani in fuga
hanno un alibi perfetto: anche se non vendono è uguale. Infatti nel
2007, all’inizio dell’avventura, hanno consegnato ad Alierta un diritto
di veto su ogni decisione importante, per esempio gli aumenti di
capitale. Quindi Bernabè, anche se Mediobanca, Intesa e Generali non
vendessero, non potrebbe mai portare al cda la proposta di aumento di
capitale, perché Alierta la bloccherebbe. E neppure un aumento di
capitale riservato a un nuovo socio: siccome si parla di 3/5 miliardi,
chi paga diventa padrone e Alierta non vuole. Bernabè ha fatto sapere
che se le cose vanno avanti così, il suo addio sarà automatico. Ma la
Telecom è stata consegnata al suo concorrente Telefónica nel 2007, e la
politica se ne accorge (forse) solo adesso che è tardi. Infatti fa finta
di niente.
Fonte
A parte le bestemmie non mi viene in mente alcun commento.
Continuo a pensare che per bonificare questo paese (ma anche l'intero mondo visto che alla fine i meccanismi sono sempre gli stessi) non si possa prescindere dall'appendere per i piedi tutta la classe dirigente - politica, imprenditoriale e sindacale - attualmente in circolazione.
Nessun commento:
Posta un commento