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17/09/2013

FED, Obama batte in ritirata

di Mario Lombardo

Dopo essere scampato ad un’umiliante sconfitta al Congresso sulla richiesta di autorizzazione all’uso della forza in Siria, nel fine settimana appena trascorso il presidente Obama si è nuovamente sottratto ad un confronto con i detentori del potere legislativo negli Stati Uniti, accettando il ritiro della candidatura a presidente della Federal Reserve del suo ex consigliere economico, Larry Summers.

Il nome del Segretario al Tesoro durante la presidenza Clinton, aveva scatenato una vera e propria bufera fin dallo scorso mese di giugno, quando Obama aveva annunciato il ritiro nel prossimo mese di gennaio, dopo due mandati , dell’attuale numero uno della Banca centrale americana, Ben Bernanke.

Anche se l’inquilino della Casa Bianca né in quell’occasione né successivamente ha discusso pubblicamente dei possibili successori, la stampa d’oltreoceano aveva subito indicato in Summers la scelta più probabile o, per lo meno, quella più gradita al presidente democratico.

Essendo una figura estremamente discussa, nonché correttamente considerato da molti come uno dei principali responsabili del processo di deregulation del sistema finanziario, Summers è prevedibilmente finito da subito sotto il fuoco incrociato delle polemiche. Dopo attacchi e critiche subite da più parti, a segnare la fine delle sue aspirazioni a presidente della Fed è stata nei giorni scorsi l’insolita presa di posizione di alcuni senatori Democratici, in particolare di tre membri della commissione per i servizi bancari, i quali si sono opposti apertamente alla candidatura promossa da Obama.

Come era già accaduto sulla Siria, perciò, di fronte alla prospettiva di vedere bocciato il proprio candidato alla Fed non solo nel voto di conferma previsto in aula ma addirittura in commissione, la Casa Bianca ha con ogni probabilità esortato Summers a ritirarsi “spontaneamente” dalla corsa alla successione a Bernanke.

Nella consueta nota ufficiale consegnata alla stampa, Obama ha affermato di avere accettato in maniera “riluttante” una decisione altrettanto “riluttante” presa da Summers, per poi lasciarsi andare a elogi quanto meno fuori luogo per un uomo che avrebbe messo a disposizione la sua “esperienza, la sua saggezza e le sue doti di leadership” nel pieno della peggiore crisi economica dai tempi della Grande Depressione. Ovviamente taciute nella dichiarazione di Obama sono state invece le sue responsabilità nell’avere gettato le basi di questa stessa rovinosa crisi.

Come ha spiegato qualche giorno fa sul New York Times l’economista premio Nobel Joseph Stiglitz, “durante l’amministrazione Clinton, Summers ha appoggiato le politiche di deregulation bancaria, tra cui la soppressione del Glass-Steagall Act [la legge degli anni Trenta che, tra l’altro, stabiliva la separazione tra le attività bancarie tradizionali e quelle speculative e di investimento], che sarebbero state decisive nell’esplosione della crisi finanziaria”.

Il “risultato” più significativo ottenuto da Summers in veste di segretario al Tesoro tra il 1999 e il 2001, secondo Stiglitz, “è stata l’approvazione della legge che ha fatto in modo che i derivati non fossero sottoposti a regolamentazioni, una decisione che avrebbe fatto esplodere i mercati finanziari”. Come se non bastasse, a metà degli anni Novanta, Summers aveva poi incoraggiato i governi dei paesi del sud-est asiatico a liberalizzare rapidamente i propri mercati, contribuendo alla crisi finanziaria che sarebbe esplosa di lì a poco in quell’area del globo.

Il ritiro di Summers, in ogni caso, oltre a rappresentare un grave colpo all’ego di uno degli economisti americani più ambiziosi e influenti degli ultimi decenni, ha lasciato commentatori e analisti senza la possibilità di indicare alternative credibili alla presidenza della Fed oltre all’attuale vice di Bernanke, Janet Yellen.

Se quest’ultima appare ora come la scelta più ovvia, vari giornali hanno descritto lunedì tutte le perplessità di Obama nei confronti di un’economista indubbiamente qualificata ma con poche frequentazioni alla Casa Bianca e, pur essendo Democratica, ritenuta in parte colpevole del naufragio della candidatura di Summers. L’altro possibile candidato gradito dal presidente, il suo ex segretario al Tesoro Tim Geithner, si è invece finora mostrato disinteressato alla carica di capo della Fed, mentre il predecessore della Yellen, Donald Kohn, pur essendo stato preso in considerazione sembra non avere il profilo necessario per ricoprire una carica così importante.

Se i media americani hanno collegato la rinuncia di Summers alle difficoltà di Obama nel trovare consensi per le proprie iniziative al Congresso oppure alle sue passate dichiarazioni che lo hanno esposto all’accusa di misoginia o, ancora, alla freddezza di svariati senatori democratici verso un uomo profondamente compromesso con la soppressione delle regolamentazioni del sistema finanziario negli ultimi due decenni, la vera battaglia attorno alla fallita nomination dell’attuale presidente dell’università di Harvard e al successore di Bernanke sembra giocarsi sulle cosiddette politiche di “stimolo” all’economia che la Federal Reserve sta mettendo in atto.

Queste misure, che vanno sotto il nome di “Quantitative Easing”, consistono sostanzialmente nell’immissione di liquidità nei mercati finanziari per oltre 80 miliardi di dollari al mese attraverso l’acquisto di bond da parte della Fed dagli investitori istituzionali. In aggiunta a tutto questo, la Fed sotto la guida di Bernanke conduce fin dal 2008 anche delle “aste speciali”, nelle quali offre alle banche prestiti che ammontano ormai ad un totale di alcune migliaia di miliardi di dollari ad interessi irrisori se non addirittura inesistenti.

Secondo la versione ufficiale, simili iniziative dovrebbero stimolare l’economia e ridurre il tasso di disoccupazione, anche se esse rappresentano piuttosto un regalo colossale elargito alla speculazione finanziaria e sono servite a gonfiare artificialmente i mercati con il rischio di creare una nuova pericolosa bolla pronta ad esplodere.

Il “Quantitative Easing”, perciò, appare oggi come una sorta di droga per i mercati finanziari e la sola ipotesi che una Fed guidata da Larry Summers - come era trapelato nelle scorse settimane - avesse potuto interrompere o ridurre drasticamente l’infusione di denaro garantita da Bernanke ha creato non pochi timori nell’industria finanziaria americana. Ciò, con ogni probabilità, ha messo in moto potenti forze nella politica e nella società civile che hanno orchestrato una efficace campagna contro Summers sfruttando i non pochi aspetti controversi del suo passato da politico ed economista.

A conferma della sensibilità dei mercati di fronte a qualsiasi ipotetica minaccia all’inversione di rotta della Fed nel prossimo futuro, la Borsa statunitense ha fatto segnare consistenti rialzi all’apertura di lunedì in seguito alla notizia del ritiro di Summers. Il balzo degli indici è stato favorito anche dall’avanzata della candidatura di Janet Yellen, considerata da molti ormai come una scelta inevitabile per la successione a Bernanke nonostante le perplessità della Casa Bianca.

L’entusiasmo per la Yellen è determinato dal fatto che quest’ultima viene considerata, assieme allo stesso Bernanke, l’artefice principale del “Quantitative Easing” e una sua presidenza della Fed da gennaio sarebbe segnata da un probabile proseguimento delle politiche di “stimolo” o da un rallentamento graduale e all’insegna della prudenza.

L’intera vicenda della candidatura di Summers, in ogni caso, testimonia della situazione in cui versa l’industria finanziaria americana. Sostenere, infatti, che un uomo che negli ultimi vent’anni ha ricoperto un ruolo di primo piano nel garantire la massima libertà d’azione alle banche di Wall Street - e che da esse ha ricavato guadagni milionari - rappresenti per esse una qualsiasi minaccia sfida ogni logica.

Le ansie per la sua candidatura confermano perciò la precarietà delle fondamenta su cui si basa la presunta ripresa economica in corso negli Stati Uniti, dove anche la sola ipotesi di una futura riduzione della liquidità immessa sui mercati ha scatenato il panico, fino a costringere al ritiro il candidato scelto personalmente dal presidente per guidare la Fed nel dopo Bernanke.

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