di Mario Lombardo
Dopo essere scampato ad un’umiliante sconfitta al Congresso sulla
richiesta di autorizzazione all’uso della forza in Siria, nel fine
settimana appena trascorso il presidente Obama si è nuovamente sottratto
ad un confronto con i detentori del potere legislativo negli Stati
Uniti, accettando il ritiro della candidatura a presidente della Federal
Reserve del suo ex consigliere economico, Larry Summers.
Il nome
del Segretario al Tesoro durante la presidenza Clinton, aveva scatenato
una vera e propria bufera fin dallo scorso mese di giugno, quando Obama
aveva annunciato il ritiro nel prossimo mese di gennaio, dopo due mandati
, dell’attuale numero uno della Banca centrale americana, Ben Bernanke.
Anche
se l’inquilino della Casa Bianca né in quell’occasione né
successivamente ha discusso pubblicamente dei possibili successori, la
stampa d’oltreoceano aveva subito indicato in Summers la scelta più
probabile o, per lo meno, quella più gradita al presidente democratico.
Essendo
una figura estremamente discussa, nonché correttamente considerato da
molti come uno dei principali responsabili del processo di deregulation
del sistema finanziario, Summers è prevedibilmente finito da subito
sotto il fuoco incrociato delle polemiche. Dopo attacchi e critiche
subite da più parti, a segnare la fine delle sue aspirazioni a
presidente della Fed è stata nei giorni scorsi l’insolita presa di
posizione di alcuni senatori Democratici, in particolare di tre membri
della commissione per i servizi bancari, i quali si sono opposti
apertamente alla candidatura promossa da Obama.
Come era già
accaduto sulla Siria, perciò, di fronte alla prospettiva di vedere
bocciato il proprio candidato alla Fed non solo nel voto di conferma
previsto in aula ma addirittura in commissione, la Casa Bianca ha con
ogni probabilità esortato Summers a ritirarsi “spontaneamente” dalla
corsa alla successione a Bernanke.
Nella consueta nota ufficiale
consegnata alla stampa, Obama ha affermato di avere accettato in maniera
“riluttante” una decisione altrettanto “riluttante” presa da Summers,
per poi lasciarsi andare a elogi quanto meno fuori luogo per un uomo che
avrebbe messo a disposizione la sua “esperienza, la sua saggezza e le
sue doti di leadership” nel pieno della peggiore crisi economica dai
tempi della Grande Depressione. Ovviamente taciute nella dichiarazione
di Obama sono state invece le sue responsabilità nell’avere gettato le
basi di questa stessa rovinosa crisi.
Come ha spiegato qualche giorno fa sul New York Times
l’economista premio Nobel Joseph Stiglitz, “durante l’amministrazione
Clinton, Summers ha appoggiato le politiche di deregulation bancaria,
tra cui la soppressione del Glass-Steagall Act [la legge degli anni
Trenta che, tra l’altro, stabiliva la separazione tra le attività
bancarie tradizionali e quelle speculative e di investimento], che
sarebbero state decisive nell’esplosione della crisi finanziaria”.
Il
“risultato” più significativo ottenuto da Summers in veste di
segretario al Tesoro tra il 1999 e il 2001, secondo Stiglitz, “è stata
l’approvazione della legge che ha fatto in modo che i derivati non
fossero sottoposti a regolamentazioni, una decisione che avrebbe
fatto esplodere i mercati finanziari”. Come se non bastasse, a metà
degli anni Novanta, Summers aveva poi incoraggiato i governi dei paesi
del sud-est asiatico a liberalizzare rapidamente i propri mercati,
contribuendo alla crisi finanziaria che sarebbe esplosa di lì a poco in
quell’area del globo.
Il ritiro di Summers, in ogni caso, oltre a
rappresentare un grave colpo all’ego di uno degli economisti americani
più ambiziosi e influenti degli ultimi decenni, ha lasciato commentatori
e analisti senza la possibilità di indicare alternative credibili alla
presidenza della Fed oltre all’attuale vice di Bernanke, Janet Yellen.
Se
quest’ultima appare ora come la scelta più ovvia, vari giornali hanno
descritto lunedì tutte le perplessità di Obama nei confronti di
un’economista indubbiamente qualificata ma con poche frequentazioni alla
Casa Bianca e, pur essendo Democratica, ritenuta in parte colpevole del
naufragio della candidatura di Summers. L’altro possibile candidato
gradito dal presidente, il suo ex segretario al Tesoro Tim Geithner, si è
invece finora mostrato disinteressato alla carica di capo della Fed,
mentre il predecessore della Yellen, Donald Kohn, pur essendo stato
preso in considerazione sembra non avere il profilo necessario per
ricoprire una carica così importante.
Se i media americani hanno
collegato la rinuncia di Summers alle difficoltà di Obama nel trovare
consensi per le proprie iniziative al Congresso oppure alle sue passate
dichiarazioni che lo hanno esposto all’accusa di misoginia o, ancora,
alla freddezza di svariati senatori democratici verso un uomo
profondamente compromesso con la soppressione delle regolamentazioni del
sistema finanziario negli ultimi due decenni, la vera battaglia attorno
alla fallita nomination dell’attuale presidente dell’università di
Harvard e al successore di Bernanke sembra giocarsi sulle cosiddette
politiche di “stimolo” all’economia che la Federal Reserve sta mettendo
in atto.
Queste misure, che vanno sotto il nome di “Quantitative
Easing”, consistono sostanzialmente nell’immissione di liquidità nei
mercati finanziari per oltre 80 miliardi di dollari al mese attraverso
l’acquisto di bond da parte della Fed dagli investitori istituzionali.
In aggiunta a tutto questo, la Fed sotto la guida di Bernanke conduce
fin dal 2008 anche delle “aste speciali”, nelle quali offre alle banche
prestiti che ammontano ormai ad un totale di alcune migliaia di miliardi
di dollari ad interessi irrisori se non addirittura inesistenti.
Secondo
la versione ufficiale, simili iniziative dovrebbero stimolare
l’economia e ridurre il tasso di disoccupazione, anche se esse
rappresentano piuttosto un regalo colossale elargito alla speculazione
finanziaria e sono servite a gonfiare artificialmente i mercati con il
rischio di creare una nuova pericolosa bolla pronta ad esplodere.
Il
“Quantitative Easing”, perciò, appare oggi come una sorta di droga per i
mercati finanziari e la sola ipotesi che una Fed guidata da Larry
Summers - come era trapelato nelle scorse settimane - avesse potuto
interrompere o ridurre drasticamente l’infusione di denaro garantita da
Bernanke ha creato non pochi timori nell’industria finanziaria
americana. Ciò, con ogni probabilità, ha messo in moto potenti forze
nella politica e nella società civile che hanno orchestrato una efficace
campagna contro Summers sfruttando i non pochi aspetti controversi del
suo passato da politico ed economista.
A
conferma della sensibilità dei mercati di fronte a qualsiasi ipotetica
minaccia all’inversione di rotta della Fed nel prossimo futuro, la Borsa
statunitense ha fatto segnare consistenti rialzi all’apertura di lunedì
in seguito alla notizia del ritiro di Summers. Il balzo degli indici è
stato favorito anche dall’avanzata della candidatura di Janet Yellen,
considerata da molti ormai come una scelta inevitabile per la
successione a Bernanke nonostante le perplessità della Casa Bianca.
L’entusiasmo
per la Yellen è determinato dal fatto che quest’ultima viene
considerata, assieme allo stesso Bernanke, l’artefice principale del
“Quantitative Easing” e una sua presidenza della Fed da gennaio sarebbe
segnata da un probabile proseguimento delle politiche di “stimolo” o da
un rallentamento graduale e all’insegna della prudenza.
L’intera
vicenda della candidatura di Summers, in ogni caso, testimonia della
situazione in cui versa l’industria finanziaria americana. Sostenere,
infatti, che un uomo che negli ultimi vent’anni ha ricoperto un ruolo di
primo piano nel garantire la massima libertà d’azione alle banche di
Wall Street - e che da esse ha ricavato guadagni milionari - rappresenti
per esse una qualsiasi minaccia sfida ogni logica.
Le ansie per
la sua candidatura confermano perciò la precarietà delle fondamenta su
cui si basa la presunta ripresa economica in corso negli Stati Uniti,
dove anche la sola ipotesi di una futura riduzione della liquidità
immessa sui mercati ha scatenato il panico, fino a costringere al ritiro
il candidato scelto personalmente dal presidente per guidare la Fed nel
dopo Bernanke.
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