di Carlo Musilli
Nessuna storia
d'amore è fatta solo di passione, nemmeno quella fra Angela Merkel e i
mercati finanziari. Ieri le Borse europee non hanno festeggiato la terza
rielezione della cancelliera. Anzi, hanno chiuso tutte in rosso:
Francoforte -0,47%, Parigi -0,75%, Londra -0,59% e Milano -0,32%. Gli
scossoni non sono arrivati nemmeno sul mercato obbligazionario, dove si è
assistito a un lieve calo dei tassi: il rendimento sul Bund decennale
tedesco è all’1,92%, quello sui Btp di pari scadenza al 4,26% (-2 punti
base), con lo spread che ha chiuso a quota 234, sui minimi dell’ultimo
mese. La mancanza di euforia, in ogni caso, non significa che gli
investitori abbiano disprezzato il risultato elettorale tedesco.
Il
trionfo di frau Merkel - che pure avrà difficoltà a formare il governo,
vista la debacle dei suoi storici alleati liberali - era ampiamente
atteso e i mercati lo avevano già assorbito la settimana scorsa,
all'indomani delle elezioni in Baviera. Il voto locale aveva sancito la
netta vittoria del partito della cancelliera (un evidente buon auspicio
in vista della prova nazionale) e l'indice Dax di Francoforte aveva
risposto toccando un nuovo record storico oltre la soglia degli 8.600
punti.
Anche in quel caso, tuttavia, l'attenzione delle Borse non
era rivolta principalmente a Berlino. In questi giorni al centro della
scena è la Federal Reserve, che deve prendere una decisione sul
temutissimo "tapering", ovvero la fine del "Quantitative easing" (Qe),
il pacchetto di stimoli economici garantiti dalla Banca centrale
americana.
Nelle scorse sedute i mercati avevano apprezzato la
decisione dell'ex segretario al Tesoro Larry Summers di ritirarsi dalla
corsa alla successione di Ben Bernanke alla guida della Fed. Un passo
indietro che sembrava spianare la strada a Janet Yellen, favorevole al
mantenimento del Qe o eventualmente a una sua riduzione molto graduale.
Venerdì però James Bullard, presidente della Fed di St. Louis, aveva
lanciato il seguente avvertimento: "Non è escluso il tapering a fine
ottobre, se i dati sulla disoccupazione lo permetteranno". Parole che
hanno pesato ieri sull'andamento dei mercati, insieme al calo degli
indici Pmi sulla manifattura (a settembre il dato dell'Eurozona è sceso a
51,1 punti, dai 51,4 di agosto).
Insomma,
i fattori in gioco sono diversi, ma ciò non toglie che quella fra
Angela e la Borsa (soprattutto tedesca) sia una storia d'amore ormai di
vecchia data. Dal novembre 2005, vale a dire da quando frau Merkel è
diventata cancelliera, l'indice di Francoforte ha guadagnato il 68%
(mentre l'Euro Stoxx 50 ha perso il 15%) e i detentori dei Bund hanno
accumulato interessi complessivi per il 40%.
Finanza e economia
reale, tuttavia, non sono affatto la stessa cosa. Agli operatori
finanziari il rigorismo made in Merkel piace in primo luogo perché offre
occasioni di speculazione. Poco importa che ciò avvenga a danno di
altri Paesi, cosiddetti periferici, che dalle cure di Angela hanno
ottenuto finora soltanto il prolungamento della recessione (come Italia e
Spagna), quando non la completa barbarie sociale (come la Grecia).
Purtroppo
il pugno duro non piace solo agli speculatori, ma anche (e molto) agli
elettori tedeschi, al punto che dopo il successo del fine settimana la
cancelliera si è sentita obbligata a ribadire la sua professione di
fede, sottolineando che in futuro non ci sarà "alcuna necessità di
modificare le politiche europee della Germania". Berlino si muoverà
"come sempre", ovvero anteponendo le politiche di aggiustamento dei
conti a quelle di stimolo alla crescita. D'altra parte, perché mai
cambiare qualcosa, se il comportamento tenuto fin qui ha garantito una
rielezione a furor di popolo?
Di ragioni, in verità, ce ne
sarebbero molte, a cominciare dall'interesse degli stessi elettori
tedeschi. L'austerità colpisce anche loro, perché il mercato interno si
sta restringendo e le esportazioni calano, danneggiate dalla recessione
prolungata di molti partner commerciali europei, Italia compresa. Prima o
poi se ne accorgeranno. Peccato non lo abbiano fatto domenica.
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